INDUSTRIA CALZATURIERA ITALIANA: MALE IL TERZO TRIMESTRE. GRAZIE ALLA PRIMA PARTE DELL’ANNO, PERO’, NEI PRIMI NOVE MESI DEL 2023 CRESCONO FATTURATO (+3%) ED EXPORT (+3,2%)
Fermo il mercato interno (-1,3% la spesa delle famiglie). Attesa un’ulteriore decelerazione nei dati a consuntivo
Milano, 3 gennaio 2024
Il comparto calzaturiero italiano segna una crescita contenuta nei primi nove mesi del 2023, registrando, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, un incremento sia del fatturato (+3% secondo l’indagine a campione tra gli Associati) che dell’export in valore (+3,2%). È la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici, che rileva però un calo dei volumi. Dopo i recuperi del biennio precedente, tornano in negativo le paia vendute all’estero (-8,7% su gennaio-settembre 2022) come pure sul mercato italiano (-3,1%), con l’indice Istat della produzione industriale in flessione del -7,4%. Pesa la battuta d’arresto del terzo trimestre, che si è chiuso con un -7,2% nelle vendite estere in valore (-12,3% in quantità) e con un -1,5% nella spesa delle famiglie italiane.
“Dopo una partenza molto positiva, il 2023 – spiega Giovanna Ceolini, Presidente di Assocalzaturifici – si è chiuso in frenata anche a causa dei forti aumenti nei costi che hanno inciso sulla marginalità delle imprese. Esaurito il rimbalzo post Covid, i ritmi di vendita hanno subìto un netto rallentamento che, innescatosi già in primavera, si è reso ancor più evidente nella terza frazione dell’anno. Un trend ampiamente previsto, non certo facilitato dall’incertezza indotta dal difficile contesto geopolitico internazionale in cui, alla guerra tra Russia e Ucraina, si è aggiunto il precipitare degli eventi in Medio Oriente, con rischio concreto di allargamento del conflitto oltre alla debolezza dell’economia in diverse importanti aree del mondo”.
Nel report emerge come, tra i principali mercati esteri, meglio nel complesso l’andamento di quelli comunitari che, pur cedendo il -6,1% in volume su gennaio-settembre 2022, sono cresciuti dell’8,5% in valore, mentre le destinazioni extra-UE mostrano un arretramento ancor più pesante in quantità (-13,4%), accompagnato da un segno negativo anche in valore (-1,2%).
Accanto alla tenuta della Francia (+1% circa in volume e +17,1% in valore) si conferma la forte contrazione (-32,4% nelle paia e -22,5% in valore) dei flussi diretti in Svizzera, tradizionale hub logistico delle multinazionali del fashion (che hanno almeno parzialmente sostituito il transito nei depositi elvetici con spedizioni dirette ai mercati finali di destinazione). Sono peggiorate sensibilmente nel terzo trimestre (con cali di oltre il -20%) le vendite verso gli USA (che nei primi 9 mesi segnano -21,7% in quantità e -7,4% in valore) e la Germania (-16,6% nelle paia e stabile in valore). Performance sempre premianti in Cina (+17,2% in volume e +12,2% in valore), malgrado un ridimensionamento in valore nella terza frazione (ma il prezzo medio al paio, superiore ai 200 euro, resta di gran lunga il più elevato). E’ poi proseguita la ripartenza di Russia e Ucraina (+40% e +88% in valore rispettivamente su gennaio-settembre 2022), sebbene le vendite in questi due mercati restino ancora al di sotto del periodo prebellico.
Sul fronte nazionale, inoltre, se il 2023 ha visto crescere i flussi turistici, con positive ricadute sullo shopping di stranieri in visita nel Belpaese, gli acquisti di calzature delle famiglie italiane hanno evidenziato un andamento poco brillante, chiudendo i primi 9 mesi con segni negativi (sia nelle paia, -3,1%, che in spesa, -1,3%) sullo stesso periodo 2022 e, soprattutto, al di sotto del 5% circa a confronto coi livelli pre-pandemici del 2019, già largamente insoddisfacenti dopo anni di continue erosioni. L’autunno anomalo, dalle temperature quasi primaverili, ha affossato gli acquisti di abbigliamento e scarpe invernali.
Infine, non si arresta il processo di selezione tra le aziende (-148 imprese, tra industria e artigianato, nei primi 9 mesi, pari al -3,9%) nonostante resista l’occupazione (+2,1%, seppur ancora inferiore di circa un migliaio di addetti rispetto ai livelli 2019). Segnali poco incoraggianti provengono però dalla ripresa del ricorso alla CIG nella filiera pelle (+6,1%).