Palmira cade sotto gli sguardi del mondo
Più o meno con cadenza odierna ci viene propinata l’immagine di qualche monumento o reperto storico
distrutto dall’esercito dell’ISIS. Ad ogni vandalismo compiuto dai fanatici seguono dichiarazioni indignate di
politici ed alti dignitari dei vari stati, servizi giornalistici inorriditi che gridano tutto lo sconforto mondiale
per la distruzione di culture millenarie, in quanto a fatti invece stiamo, nella solida tradizione occidentale, a
zero.
Prontissimi a correre con centinaia di migliaia di soldati, flotte, stormi di aerei, quando si tratta di
intervenire in difesa di posizione strategiche o deserti ricchi di greggio, si latita se bisogna intervenire per
difendere popolazioni e siti archeologici. Per quanto anti-militaristi e fautori della pace, financo
all’ipotizzare lo scioglimento di un esercito regolare, cosa già attuata in ben 27 paesi mondiali, appare
chiaro che se si mantengono forze armate bisogna anche chiedersene il motivo e rendere conto delle spese
destinate al loro mantenimento.
Forse tenere in arme milioni di soldati è necessario per soccorrere poveri migranti? Cosa che dovrebbe
essere di ben più competenza della protezione civile o comunque di agenzie di S&R. Stante l’evidente
impossibilità di qualunque possibile accordo diplomatico con lo Stato Islamico, cosa che avvenendo perfino,
anche con infinita lentezza, con le milizie talebane, l’unico sistema per porre fine alle violenze perpetrate
appare l’intervento militare.
Cosa trattenga le potenze occidentali dall’uso della forza non è in effetti chiaro, la potenza dell’ISIS è tale da
poter configurare un disastro militare? Le stime più attendibili pongono le forze dei militanti tra i 19.000 ed
i 31.000 affiliati, comprendendo anche una serie di milizie e corpi sparsi. Lo stato islamico vanta gli stessi
effettivi del corpo forestale della Sicilia insomma, ,o scenario non è fatto di montagne o foreste, ma di
deserti, Palmyra è un obiettivo ben definito dove forze ben addestrate come i costosissimi corpi d’armata
occidentali, con i milionari F-35 che il buon Renzi insiste a volere ad ogni costo, magari per volare a NYC,
impegnati solo in voli di addestramento e ricognizione, potrebbero difendere con efficacia.
Se le forze di rapido intervento continuano a restare nelle caserme tramutandosi lentamente in forze di
“mai” intervento, quello che latita è la politica. La frammentazione delle diplomazie europee è, come d’uso,
totale, la povera mrs. PESC Mogherini, capitata a fare qualcosa di più grande di lei, ha la stessa utilità di un
fermaporte in assenza di vento, e per il resto non si vede nessuna luce. Se Francia e Regno Unito, perfino la
Germania, hanno iniziato ad ipotizzare e studiare interventi sul campo, l’Italia ha subito tirato i remi in
barca richiamandosi a fantomatiche e risolutive azioni sotto l’egida dell’ONU, altra istituzione atta più a
riempire le pagine di Wikipedia che i contenuti mondiali. Schiavi dei sondaggi elettorali staremo ancora una
volta alla finestra guardando la storia dell’umanità cadere, statua dopo statua, testa dopo testa, con le
immagini dell’orrore che passano tra la pubblicità dei pannolini e quella dell’anti-dolorifico di turno.
MAURIZIO DONINI