da Infolampo: Carla Cantone: alleanza giovani-anziani. In Europa con le stesse idee
Tempo di bilanci per Carla Cantone, in procinto di lasciare il timone dei pensionati Cgil dopo sette anni e mezzo per proseguire il proprio impegno alla guida della Ferpa, il sindacato europeo dei pensionati e delle persone anziane.
Oggi, 12 gennaio, il suo saluto in occasione dell’Assemblea generale dello Spi, il nuovo organismo previsto dallo Statuto confederale. “Sono stati sette anni e mezzo difficilissimi, ma lo Spi ne è uscito più forte di prima. I miei ricordi più belli? Il viaggio ad Auschwitz con gli studenti e la manifestazione dei centomila a Piazza del Popolo”.
“Il mio ricordo più bello? Il viaggio ad Auschwitz con i giovani. Indimenticabile. Ho chiesto a quelle ragazze e a quei ragazzi di ricordarsene quando saranno grandi e porteranno là altri studenti come loro. Un altro meraviglioso ricordo è la manifestazione di piazza del Popolo del 2008 con centomila pensionati. Il messaggio era Nessun Dorma della Turandot. Fu una giornata straordinaria. Berlusconi diede le dimissioni quindici giorni dopo. Non ho la presunzione di dire che l’abbiamo fatto cadere noi, ma credo che abbiamo dato un aiuto alla spinta. Peccato che subito dopo è arrivato Monti con la riforma Fornero. Ecco, quello invece non è un bel ricordo. Per quel che mi riguarda, dall’Europa farò tutto il possibile contro quella legge”. È tempo di bilanci per Carla Cantone, in procinto di lasciare il timone dei pensionati Cgil dopo sette anni e mezzo per proseguire il proprio impegno alla guida della Ferpa, il sindacato europeo dei pensionati e delle persone anziane. Oggi, 12 gennaio, il suo saluto in occasione dell’Assemblea generale dello Spi, il nuovo organismo previsto dallo Statuto confederale.
Sei diventata segretaria generale dello Spi a metà 2008, proprio mentre cominciava la grande crisi. Come hai trovato lo Spi e come lo lasci?
Sono stati anni difficilissimi per tutti, pensionati e lavoratori. La destra, appena tornata a governare, ha subito cancellato i risultati appena ottenuti dalla Cgil e dal sindacato dei pensionati con Prodi. C’era un tavolo per discutere di pensioni, non autosufficienza, sanità: Berlusconi lo ha del tutto ignorato. Poi, come notavi, la situazione si è complicata a causa della crisi che ha messo in ginocchio l’economia e portato i governi a tagliare il welfare. Per fortuna ci siamo dati subito da fare. Abbiamo mobilitato le leghe e i territori a tutti i livelli, regionale e nazionale, e abbiamo aperto una stagione forte di contrattazione sociale decentrata per cercare di ottenere qualche risultato con i Comuni e con le Regioni. Insomma, un periodo
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Università, sempre più piccola e classista
Sempre più giovani delle famiglie meno abbienti, provenienti dai diplomi più deboli, in genere quelli tecnici, e dai territori meno ricchi rinunciano alla formazione universitaria. Il rapporto della Fondazione Res
di Gianfranco Viesti
L’università italiana ha conosciuto negli ultimi setti anni straordinari cambiamenti: in molti casi, assai preoccupanti. Ha intrapreso un cammino in direzione assai diversa da quello compiuto negli utlimi decenni. Se ne dà una dettagliata ricostruzione nel Rapporto della Fondazione Res, curato da che scrive, presentato giovedì scorso e di cui è disponibile on line (http://www.resricerche.it/ ) una ampia sintesi. Tre fra i principali cambiamenti.
Uno. E’ diventata molto più piccola. Ha perso circa un quinto della sua dimensione in termini di studenti, docenti, personale non docente, corsi, finanziamento. Ha così seguito una direzione opposta a quella di tutti gli altri paesi, avanzati e emergenti, che stanno potenziando la propria istruzione superiore. Per di più, il percorso si è avviato a partire da una dimensione dell’università italiana già molto più contenuto rispetto ai paesi comparabili. Non sorprende che l’Italia sia ultima fra i 28 paesi dell’Unione Europea per percentuale di giovani (30-34 anni) laureati.
Due. Sembra essere ritornata ad un carattere più classista. Per ciò che è possibile vedere, stanno rinunciando all’università molti giovani delle famiglie meno abbienti, provenienti dai diplomi più deboli (tecnici) e dai territori meno ricchi. Questo a causa sia di un aumento delle tasse universitarie (oltre il 50% in termini reali) che non ha paragoni se non nel caso inglese, e che colloca l’Italia ai primissimi posti, fra i paesi comparabili dell’Europa continentale per costo dell’istruzione superiore, sia dell’assoluta inconsistenza del diritto allo studio.
Tre. Si sono accentuate e si stanno accentuando forti sperequazioni territoriali. Ha tenuto relativamente meglio il sistema universitario del triangolo Milano-Bologna-Padova; molto peggiori le dinamiche degli ateni del Nord “periferico”, del Centro e del Sud continentale. Davvero preoccupante la situazione delle università delle Isole. Quattro regioni del Sud sono fra le ultimi 10 fra le 272 regioni europee per percentuale di giovani (30-34 anni) laureati. E tutto lascia pensare che questa percentuale diminuirà nei prossimi anni.
Tutto questo è frutto di difficoltà antiche, e di errori evidenti degli atenei, specie nel Centro-Sud, documentabili da molti indicatori. Ma è il diretto prodotto di una scelta politica fortissima di “compressione selettiva e cumulativa” dell’università italiana. Una scelta inagurata da Tremonti-Gelmini, ma poi sorprendentemente continuata, con lo stesso identico indirizzo, dai governi successivi, e in particolare dal governo in carica. Una scelta poco annunciata e assai meno discussa, specie nelle sedi istituzionali, concretizzata invece in un coacervo di norme tecniche, tanto complicate quanto drastiche, accompagnata da una retorica del “merito” come criterio di intervento che trova ben scarso riscontro nella realtà. Una scelta che ha prodotto risultati assai incisivi, e che continua a produrne, dato che si è innescato un meccanismo “a palla di neve” per cui le dinamiche in corso – in assenza di ulteriori interventi – non potranno che continuare e rafforzarsi. Delle tantissime vicende che il Rapporto documenta, basterà qui ricordare, del tutto indicativamente, che l’attuale governo “premia” il merito delle università anche in base alla percentuale di studenti che vanno all’estero per l’Erasmus; il merito degli atenei è cioè quello di avere studenti provenienti da famiglie agiate, in grado di sopportare i costi del soggiorno all’estero.
L’università ha una rilevanza strategica, come ben noto: non solo per la formazione, ma anche per la ricerca e il trasferimento tecnologico e per il ruolo, spesso decisivo, nello sviluppo dei territori di insediamento. Almeno per questo, tutto ciò che è avvenuto e sta avvenendo meriterebbe un’attenzione ben più ampia di quella che ha avuto negli ultimi anni, non solo dalla politica (che appare colpevolemente distratta e assente) ma anche dall’opinione pubblica più avvertita.
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