Da Infolampo: Stesso lavoro, Lavoro buono
Stesso lavoro, 200 euro al mese in meno
Mansioni, orari, carichi di lavoro identici. Ma se sei un “somministrato” non hai gli stessi diritti. Parte la
campagna di Nidil Cgil per la “Parità di trattamento”
Uguali in tutto e per tutto: mansioni, orari, carichi di lavoro. Due lavoratori “gemelli”, ad un primo
sguardo. Ma dalle sorti molto differenti in busta paga, fino a 200 euro al mese in meno. È questa molto
spesso la condizione dei lavoratori precari, in particolare dei somministrati. Un’ingiustizia palese contro
la quale è stata lanciata oggi, mercoledì 6 aprile a Roma la
campagna sulla “Parità di trattamento” del sindacato Nidil
Cgil.
Il segretario generale Claudio Treves e Andrea Borghesi della
segreteria nazionale hanno spiegato la necessità di una
campagna nazionale che affermi il diritto alla parità di
trattamento, in particolare per i lavoratori “in
somministrazione” per i quali la trilateralità del rapporto di
lavoro — dipendente, azienda utilizzatrice, agenzia – rischia di
essere un perimetro che comprime i diritti.
“Perseguendo la riduzione dei costi, spesso i datori di lavoro
eludono il diritto alla parità di trattamento attraverso un
inquadramento scorretto e la mancata elargizione dei premi di risultato e di produttività” ha spiegato
Treves, sottolineando come Nidil stia portando avanti “sia sul piano vertenziale, sia su quello politico
sindacale” l’obiettivo della parità “nell’ambito della mobilitazione della Cgil sulla Carta Universale dei
diritti del lavoro”.
“Il nostro obiettivo - gli ha fatto eco Borghesi - è sollevare l’attenzione sul tema. Questa campagna
straordinaria arriva nell’anno in cui il Contratto collettivo nazionale dei lavoratori in somministrazione va
in scadenza. Spesso, di fronte a evidenti disparità tra dipendenti e somministrati ci confrontiamo a fare i
conti con un “gioco del rimpiattino” tra azienda utilizzatrice e agenzia. Un fatto grave”. Si va da un
differente contratto applicato, come nel caso dei lavoratori Expo,- a differenti calcoli delle parti
retributive riguardanti ferie e premi di risultato.
Nel corso della conferenza stampa i dirigenti Nidil hanno portato esempi e vertenze concrete che hanno
spiegato meglio di qualsiasi cosa la disparità di trattamento.
DISPARITA’ AD EXPO 2015
“Lavoratori assunti da un’agenzia di somministrazione vedevano applicato il contratto Multiservizi
anziché quello del Terziario come altri assunti direttamente da Expo. Tradotto hanno spiegato da Nidil
a parità di mansione venivano corrisposti 173 euro in meno al mese”. Attualmente, è stato spiegato, è
aperta una vertenza che coinvolge un centinaio di lavoratori vittime della disparità di trattamento
IL PREMIO DI RISULTATO? PER MOLTI MA NON PER TUTTI
“Si è aperta in un call center napoletano una vertenza rispetto alla corresponsione di un elemento
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Integrazione al minimo:
chi ne ha diritto?
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Dal lavoro buono al buono-lavoro
Come il Jobs Act ha rovesciato il principio costituzionale posto come fondamento della Repubblica. Non
è più la logica mercantile del contratto a dover farsi carico del rispetto dei diritti fondamentali. Sono i
diritti fondamentali che devono farsi carico della logica del contratto ed esserne sacrificati
di Umberto Romagnoli
Quella del Jobs Act è una storia d’inganni, furbizia malandrina e apparenze falsificanti. Ce n’è per tutti i
gusti. Si va dall’uso (senza precedenti) di anglicismi con un forte impatto mediatico, ma d’incerto
significato nella stessa lingua-madre, all’uso spericolato di parole che reclamizzano la figura di un
contratto di lavoro spacciato per innovativo mentre alle spalle ha un’esperienza secolare. Si va dal rispetto
soltanto formale delle procedure parlamentari – perché la legge-delega non contiene né i principi né i
criteri direttivi che la Costituzione esige allo scopo di limitare la discrezionalità della decretazione
delegata, ne lascia intenzionalmente nel vago l’oggetto che la costituzione vuole predefinito ed è stata
approvata ricorrendo al voto di fiducia per impedire l’esame di emendamenti e imbavagliare le dissidenze
interne alla stessa maggioranza governativa – alla rottura della consolidata regola non scritta che fa
precedere l’intervento legislativo da confronti nel merito coi sindacati. Si va dalla valorizzazione del
potere aziendale attraverso il sostanziale ripristino della libertà di licenziare all’emarginazione della tutela
giurisdizionale dei diritti in attuazione di un progetto politico che ipotizza uno scambio tra maggiore
flessibilità a vantaggio dell’impresa oggi e maggiore sicurezza nel mercato domani a vantaggio del
lavoratore. Uno scambio che, sebbene sia caldeggiato dalla governance europea, in un paese come il
nostro ove le politiche attive del lavoro sono ancora all’abc è più virtuale che virtuoso.
In sintesi, la delega non solo era sostanzialmente in bianco in modo da permettere al governo di allungare
le mani sull’intero diritto del lavoro, ma ha finito per assumere le caratteristiche di un’auto-celebrazione
della corrente di pensiero che riduce la politica a mera comunicazione.
Candido come una colomba e astuto come un serpente, il legislatore delegato ha qualificato “a tutele
crescenti” un contratto di lavoro a tempo indeterminato dove la sola forma di tutela che può crescere (a
ritmo annuale di 2, ma fino ad un massimo di 24 mensilità) è l’indennità corrisposta in caso di
licenziamento ingiustificato. Così, con un colpo solo si sono raggiunti parecchi risultati di cui non si
tarderà a scoprire la contraddittorietà. Questo contratto infatti, se da un lato sembra promettere un futuro
socialmente desiderabile in ragione dell’indeterminatezza della sua durata che di per sé apre uno spiraglio
alla speranza di de-precarizzare il mercato del lavoro, dall’altro è nemico di ogni aspettativa di stabilità in
ragione del riformarsi delle condizioni del potere di comando che per tradizione era simboleggiato dalla
licenza di licenziare. Anzi, è un contratto socialmente pericoloso perché è associato ad una tutela contro il
licenziamento illegittimo dominata non tanto dalla preoccupazione di rimuovere l’illecito e le sue
conseguenze quanto piuttosto di garantire all’imprenditore l’irreversibilità delle sue decisioni, per illegali
che possano risultare in giudizio.
E ciò perché nemmeno la perdita di un posto di lavoro senza alcun giustificato motivo è percepita dal
governo come un dramma per chi la subisce; facendo sua l’ottica dell’impresa, il governo valuta il
licenziamento illegittimo alla stregua di un costo di cui è bene conoscere in anticipo l’importo e
predeterminarlo nella misura più contenuta possibile. Flebile e blanda, stante l’importo mediamente
modesto dell’indennità dovuta, è una tutela che rende questo contratto competitivo in termini di costi
diretti e indiretti col contratto a tempo determinato, ormai completamente liberalizzato, proprio
facilitando la cessazione del rapporto di lavoro ad iniziativa dell’imprenditore. Alla fin dei conti, la tutela
è qualitativamente identica a quella prevista in epoca anteriore allo Statuto dei lavoratori. La
reintegrazione nel posto di lavoro, infatti, sarà per i neo-assunti una sanzione del tutto residuale: una
remota eventualità. Come dire: se non si è in presenza di un decesso prematuro del diritto del lavoro, è
innegabile che lo si è fatto tornare all’età dell’adolescenza.
Candido come una colomba e astuto come un serpente, il legislatore delegato ha previsto l’eutanasia
dell’art. 18 che la legge Fornero aveva reso lontano cugino di quello preesistente. Esso, infatti, è
destinato ad estinguersi via via che i (milioni di) lavoratori assunti a tempo indeterminato in servizio
prima dell’entrata in vigore della riforma se ne andranno dall’azienda di appartenenza. Come dire che si
dissolverà pian piano e senza necessità di abrogarlo. A quel punto, però, la decenza vorrebbe che
l’accattivante ammiccamento alle “tutele crescenti” venisse soppresso per rispetto, se non degli italiani,
della lingua italiana. Per quanto scaltro, è uno spot pubblicitario la cui funzione promozionale si sta
esaurendo. Pertanto, una volta che si sia finalmente compreso che il successo del contratto “a tutele
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