Da Infolampo: Esodati la vertenza continua – L’Austerità che ha distrutto l’Europa
Esodati: la vertenza continua, presidio il 22 aprile
Cgil, Cisl e Uil il 22 davanti al ministero dell’Economia, per chiedere al governo di adottare l’ottava
salvaguardia e ottenere una soluzione definitiva. “Servono risposte certe prima della legge di stabilità.
Confronto generale sulle questioni aperte”
Venerdì 22 aprile, alle ore 10, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto un presidio insieme alla Rete dei Comitati
degli esodati e ai Comitati dei lavoratori precoci. Il presidio si svolgerà a Roma di fronte al ministero
dell’Economia e delle finanze, in via XX Settembre. E’
quanto si apprende da una nota firmata dai segretari
confederali Vera Lamonica (Cgil), Maurizio Petriccioli
(Cisl) e Domenico Proietti (Uil).
I sindacati “continuano quindi la mobilitazione a sostegno
della vertenza degli esodati per ottenere dal governo un
impegno ad adottare l’ottava salvaguardia che offra una
soluzione definitiva ai problemi che le salvaguardie finora
varate non hanno risolto completamente”.
Cgil, Cisl e Uil “chiedono all’esecutivo risposte certe su
questa questione prima della legge di stabilità e
rivendicano l’avvio di un confronto più generale
sull’insieme delle questioni previdenziali ancora aperte”.
LE TAPPE DELLA PROTESTA
I sindacati sono tornati in piazza il 5 ottobre 2015 contro la
legge Fornero. La mobilitazione è andata avanti per dieci
giorni e si è conclusa il 15. Si sono tenuti presidi davanti alle prefetture di tutta Italia, per ribadire con
forza la richiesta di modificare la riforma della previdenza, varata dal governo Monti. Ma il tema esodati
ha percorso negli ultimi anni molte iniziative sindacali. Prima di questa tappa le organizzazioni dei
lavoratori avevano protestato il 24 settembre, per chiedere l’approvazione della settima salvaguardia e la
proroga dell’opzione donna. La mobilitazione si è svolta a Roma, in Piazza San Silvestro, dalle ore 8 alle
ore 13, in concomitanza con le audizioni del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministro
dell’Economia e delle Finanze presso le commissioni Bilancio e Lavoro di Camera e Senato, riunite in
seduta congiunta.
Cgil, Cisl e Uil erano già scese in piazza il 15 settembre scorso e poi di nuovo il 22, per richiamare
l’attenzione su quella che defiscono una vera e propria emergenza sociale. “Sapete quanti soldi si
risparmiano fino al 2020 con la legge Fornero? – ha detto Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil
intervenendo al presidio – 80 miliardi. 80 miliardi risparmiati sulla pelle dei lavoratori e non piuttosto
facendo la lotta a corruzione,evasione,illegalità. Ora non provino a confondere le acque. Si ripristini il
fondo esodati”, ha concluso.
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Referendum trivelle: Cgil, votare
è diritto da esercitare sempre
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www.sbilanciamoci.it
Così l’austerità ha distrutto l’Europa
Diversi studi hanno concluso che lo stato comatoso dell’economia europea – con tutte le sue ricadute
sociali – è una conseguenza diretta delle politiche di austerità
di Thomas Fazi
Il fallimento delle politiche implementate in Europa dal 2010 in poi – un connubio di austerità fiscale,
riforme strutturali (di impronta marcatamente neoliberista) e politiche monetarie espansive – è ormai sotto
gli occhi di tutti. Oggi, a inizio 2016 – otto anni dopo lo scoppio della crisi finanziaria – il PIL reale
dell’eurozona è ancora inferiore al picco pre-crisi (marzo 2008). Quello della Spagna è inferiore del 4,5
per cento. Quello del Portogallo del 6,5 per cento. Anche quei paesi che registrano tassi di crescita
superiori alla media europea non se la cavano molto bene: il PIL reale della Germania, per esempio, è
aumentato solo del 5,5 per cento rispetto al livello del 2008; quello della Francia del 2,7 per cento. Gli
Stati Uniti, dal canto loro, hanno registrato un incremento superiore al 10 per cento.
L’eurozona nel complesso registra un tasso di crescita annuale stagnante – inferiore al 2 per cento –
dall’inizio del 2012; oggi si aggira intorno all’1,6 per cento. Nel 2017 è prevista una lievissima
accelerazione. Nello stesso periodo (2012-16), molti paesi – tra cui la Grecia, l’Italia ed il Portogallo –
hanno registrato tassi di crescita vicini o inferiori a zero. Le politiche “non convenzionali” della BCE –
quantitative easing, tassi di interesse negativi, ecc. –, per motivi ampiamente trattati su queste pagine, non
hanno favorito la ripresa, né lo faranno in futuro. A questo punto quindi possiamo dire che, almeno per
quello che riguarda l’Europa, questa non è “la peggiore crisi dai tempi della Grande Depressione”; questa
crisi è peggiore della Grande Depressione, se consideriamo che la maggior parte dei paesi occidentali, a
5-6 anni dalla crisi del ‘29, erano già tornato ai livelli di crescita pre-crisi.
I dati che riguardano la produzione industriale sono altrettanto avvilenti: -10 per cento rispetto ai livelli
pre-crisi per l’area euro nel suo complesso. Molto peggio per i paesi della periferia. Gli investimenti fissi
lordi continuano a viaggiare a livelli inferiori a quelli del 2007 in 21 dei 28 paesi dell’Unione europea. La
Commissione europea parla della necessità di «uno stimolo coordinato agli investimenti» ma il cosiddetto
“piano Juncker”, sbandierato due anni fa come il toccasana della crescita, continua a “stimolare”
investimenti col contagocce (0,35 per cento del PIL dell’eurozona a inizio 2016, secondo uno studio
dell’OCSE, che giudica il piano «deludente»), con un impatto su crescita/occupazione del tutto
trascurabile.
Il tasso d’inflazione medio dell’eurozona, senza considerare gli enormi differenziali di inflazione tra
paesi, è inferiore all’obiettivo dichiarato del 2 per cento dalla fine del 2012 e inferiore all’1,5 per cento –
sotto il quale possiamo parlare de facto di deflazione – dall’inizio del 2013. In altre parole, da tre anni. Da
febbraio, poi, è addirittura tornato in territorio negativo per la prima volta dal 2009. E questo a fronte di
uno “stimolo monetario” da parte della BCE pari a più di 700 miliardi da marzo 2015 ad oggi: la
dimostrazione più evidente del fatto che un contesto di stagnazione/recessione le politiche monetarie
espansive non servono a nulla – e possono addirittura rivelarsi dannose – se non sono accompagnate da
politiche fiscali altrettanto espansive – leggasi spesa in deficit – che immettano denaro direttamente
nell’economia reale.
Diversi studi, perlopiù basati sui cosiddetti “moltiplicatori fiscali” (che studiano l’impatto delle misure di
consolidamento fiscale sul PIL), hanno concluso che lo stato comatoso dell’economia europea – con tutte
le ricadute sociali che questo comporta – è una conseguenza diretta delle politiche di austerità perseguite
in questi anni. Un articolo pubblicato dal Centre for Economic Policy Research (CEPR) nel febbraio
2015, per esempio, stimava un effetto enorme sulle economie dell’eurozona: 7,7 per cento di PIL in meno
tra il 2011 e il 2013 rispetto allo scenario di base. A fronte di tanta austerità, la riduzione del deficit
pubblico rispetto allo scenario di base è stata risibile, pari allo 0,2 per cento del PIL dell’eurozona. Tanto
dolore praticamente per nulla. Eppure, nonostante un lieve rilassamento della posizione di bilancio
complessiva dell’eurozona, da restrittiva a neutrale – a cui però si accompagna una rinnovata enfasi sulla
necessità di accelerare le riforme strutturali, che deprimono ulteriormente l’economia –, si continua a
ostacolare l’unico strumento che (nel breve) potrebbe rimettere in moto l’economia: una reflazione
coordinata per mezzo di un aumento del disavanzo pubblico dei singoli Stati europei.
Eppure le conseguenze di queste politiche sono note: un rapporto pubblicato nel 2014 dal Parlamento
Europeo, insolitamente esplicito, accusava le politiche di austerità imposte dalla troika di aver provocato
uno “tsunami sociale” nel continente. E da allora la situazione è nettamente peggiorata. Secondo gli ultimi
dati Eurostat (gennaio 2016), il tasso di disoccupazione nell’eurozona e nell’Unione europea continua a
Leggi tutto: http://sbilanciamoci.info/cosi-lausterita-ha-distrutto-leuropa/