LA RIFORMA COSTITUZIONALE DELLA DISCORDIA
Sembra proprio che quella che tutti hanno cominciato a chiamare come la “schiforma” costituzionale del referendum previsto in ottobre, sia destinata a far discutere per diversi e ben giustificati motivi, non ultimo quello per il quale questa vituperata riforma rappresenta già uno spartiacque tra magistratura “schierata” e magistratura libera. Ma non tutta la magistratura evidentemente, solo quella a favore di una riforma contro ogni principio non solo costituzionale, ma anche giuridico. Questa riforma, infatti, non tiene conto dei fondamenti sui quali si fonda tutta l’impalcatura democratica di una forma di governo quale quella repubblicana. Non si può riformare un segmento importante della nostra Costituzione come il Titolo V, senza mettere in discussione in toto la forma di governo basata sulla Repubblica.
Chi si preoccupa di una deriva autoritaria di questo governo con una maggioranza partitica di sinistra, sa quello che dice. Teniamo sempre ben in mente che i comunisti sono dei bravi trasformisti e ottimi imbonitori delle masse. L’aver cambiato nome ad un partito non ne cancella la storia pregressa. Quella storia che ci parla di un comunismo prima accondiscendente con il popolo, e poi una volta al potere, giustizialista e dittatoriale con gli stessi che ne avevano ingenuamente propiziato l’ascesa. L’esperienza ci dice che per affrontare al meglio il futuro, bisogna sempre far tesoro degli insegnamenti preziosi della storia maestra e consigliera. Del resto, tutte le forme di autoritarismo sono cominciate facendo passare per buono e giusto ciò che puntualmente si è poi rivelato controproducente per il bene comune, ma più che proficuo per un gruppo ristretto al potere. I gulag ai tempi di Stalin erano stati pensati per “punire” tutti quelli che osavano contraddire il dittatore.
Nel clima di terrore instaurato da Stalin, ogni cittadino poteva essere riconosciuto colpevole, anche in seguito a un’accusa anonima o infondata, arrestato, sommariamente giudicato e trasferito nei gulag, dove lo aspettavano quasi sempre terribili sofferenze fisiche e psicologiche. Esisteva una sorta di pianificazione degli arresti, ed è questo uno degli aspetti più agghiaccianti della storia dei gulag: il numero dei detenuti che avrebbe dovuto popolare un campo veniva deciso a inizio anno secondo le direttive dello stesso Stalin, che fece del lavoro coatto una delle basi dell’industrializzazione della Russia. Rammentiamo sempre: si comincia sempre dal riformare la Costituzione per demolire le basi democratiche di una nazione, e in seguito, fiaccare il popolo psicologicamente sarà un gioco da ragazzi. Peraltro, 56 tra i più quotati costituzionalisti hanno definito questa riforma a dir poco confusa e scritta male. Ma Renzi è talmente sicuro della vittoria dei “SI” da aver puntato tutto il suo futuro da premier su questo referendum, e il fatto che alcuni nodi possano venire al pettine, a quanto pare, non gli tolgono affatto il sonno. Tra questi “nodi”, anche il deciso schieramento di alcuni magistrati a favore di questa riforma, che darebbero ragione a quanti finora hanno tacciato parte della magistratura di eccessiva “pendenza a sinistra”.
Per parte sua il ministro Boschi, alla quale si deve questa controversa riforma, in una sua recente esternazione, ha dichiarato che chiunque voti “NO” è fascista. Un’eccessiva semplificazione quella del ministro Boschi che poco si adatta al ruolo delicato che ricopre. Questa è un’astuzia tipica dei comunisti: far credere che il comunismo sia stato completamente superato, e tacciare di “fascismo” chiunque si opponga alle loro idee e riforme. Abbiamo visto che quando c’era Stalin questi “ribelli” venivano puniti con i gulag. Al contrario, non mi pare esistano ancora paesi nel mondo che si possano definire “fascisti” o “nazisti”, mentre ve ne sono ancora molti dichiaratamente “comunisti”. Se dessimo del “fascista” ad un dittatore come Kim Jong un o a Raul Castro, potremmo rischiare o un cannone puntato addosso o il carcere duro a vita. E’ il caso di ricordare che i fascisti, al di la dei metodi, punivano severamente chi si macchiava di reati penali, soprattutto contro la morale e contro la proprietà privata (i nostri nonni di notte potevano permettersi di dormire ancora con la porta spalancata!).
Detto ciò, con questa “schiforma” si è scritta una pagina buia della nostra repubblica democratica. Il senato viene svuotato delle sue funzioni e diventa un dopo lavoro per i politici locali. Con la riforma del senato finisce il bicameralismo perfetto: la camera diviene il cuore delle decisioni politiche, incontrastabili, della nuova politica italiana. I senatori, da 315, scenderanno a 95 e saranno eletti dai Consigli regionali, con legittimazione popolare. Ma farli scendere a 95 si poteva fare anche se si teneva in piedi un senato elettivo con funzioni di contrasto alle scelte politiche della camera dei deputati. Inoltre, con la riforma relativa all’elezione del Capo dello Stato, la presidenza della Camera diventerebbe la seconda carica dello Stato. No comment. Dunque esaminiamo più da vicino i cambiamenti che questa riforma apporterà alla nostra Costituzione repubblicana.
Beninteso, il Senato continuerà ad avere sempre lo stesso nome (strano per un governo che appartiene ad un partito sbattezzato almeno una decina di volte). Meno male, direbbe qualcuno, vedete che poi la riforma non vuole apportare cambiamenti così sostanziali? Scherzi a parte, entriamo ora nel dettaglio. All’interno del “defunto” Senato ci saranno 95 membri eletti dai Consigli Regionali (21 sindaci e 74 consiglieri-senatori), più cinque nominati dal Capo dello Stato che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa piena solo su riforme costituzionali e leggi costituzionali. Per quanto riguarda le leggi ordinarie, potrà chiedere alla Camera di modificarle, ma Montecitorio non sarà tenuta a dar seguito alla richiesta. Se il Senato chiede alla Camera di modificare una legge che riguarda il rapporto tra Stato e Regioni, l’assemblea di Montecitorio può respingere la richiesta solo a maggioranza assoluta.
Saranno i cittadini, al momento di eleggere i Consigli Regionali a indicare quali consiglieri saranno anche senatori. I Consigli, una volta insediati, saranno tenuti a ratificare la scelta. I nuovi senatori godranno delle stesse tutele dei deputati. Non potranno essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione del Senato. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi anche nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Insomma, meno rogne per i nuovi senatori ma gli stessi privilegi.
La dittatura entra anche nell’ambito referendario, infatti è stato introdotto un quorum minore per i referendum sui quali sono state raccolte 800mila firme anziché 500mila: per renderlo valido dovranno votare la metà degli elettori delle ultime elezioni politiche, anziché la metà degli iscritti alle liste elettorali. Salgono invece da 50mila a 150mila le firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare. Però i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame, clausola che oggi non esiste. Anche i “tempi più precisi” di esame non tranquillizzano affatto, dopo che hanno quasi raddoppiato le firme necessarie. Si sa, i referendum su iniziativa popolare spaventano sempre chi ha intenzione di instaurare un regime autoritario. Le province vengono cancellate dalla Costituzione, atto necessario per abrogarle definitivamente. Abrogato il Consiglio nazionale economia e Lavoro, organo costituzionale secondo la Carta del 1948.
Questa è la riforma della quale Renzi dice essere una novità assoluta. Ma letta attentamente, ci si accorge che mette in mano ad un’unica persona le sorti di un’intera nazione. La bussola della resistenza costituzionale e democratica è l’appello “verso una svolta autoritaria”, lanciato da Libertà e Giustizia, l’associazione di professori e intellettuali del calibro di Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà e tanti altri: “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava”.
Dopo il successo degli appelli moderatamente preoccupati del 2013 “La via maestra” e “l’urgenza e l’indecenza”, sempre rivolti alla difesa della Costituzione, l’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e la sua intenzione di toccare la Carta ha fatto scattare i sensori di rischio democratico-costituzionale.
Orientamenti di voto secondo i sondaggi
In base al sondaggio realizzato da Euromedia Reserch, l’istituto di Alessandra Ghisleri, il 51,9% degli Italiani dichiara che al referendum confermativo del prossimo ottobre voterà contro la riforma costituzionale approvata dal Parlamento poche settimane or sono.
Il sondaggio choc per i seguaci del renzismo, segnala come il 51,9% degli intervistati si sia espresso in favore del NO, contro il 48,1% che ha detto SÌ. Ad oggi gli indecisi sul se e sul come votare sono il 45,9% del totale.
Il presidente del Consiglio ha dichiarato ripetutamente di volersi dimettere in caso di vittoria del NO al referendum sul cosiddetto DDL Boschi, aggiungendo che si ritirerebbe definitivamente dalla politica, ragion per cui il referendum diventerà inesorabilmente un plebiscito pro o contro di lui. Non è un mistero che sullo scorso referendum sulle trivelle il governo stimava un 25% di partecipazione alle urne e non il 32,1% che c’è stato, dato che mette una paura tremenda ai filogovernativi e li spinge a dare immediatamente avvio alla loro propaganda, situazione che creerà una lunghissima campagna elettorale e un’estate politica senza interruzioni.
Il Partito Democratico trema anche per l’emorragia continua di consensi, che si aggiunge al crollo della fiducia nel Premier (record negativo al 29%) e nel governo (record negativo al 26%). Renzi ha dato il via da Firenze alla campagna per il SÌ, invocando l’aiuto dei cittadini: “Fino a ottobre serve una gigantesca campagna porta a porta per chiedere se si vuole riportare l’Italia a due anni fa o andare a testa alta verso il futuro”.
Beh, se proprio dobbiamo scegliere, allora sì preferiremmo riportarla a due anni fa, evitandoci l’ulteriore aumento del debito pubblico, le ulteriori chiusure di fabbriche e di negozi, l’ulteriore retrocessione della ricchezza e della qualità della vita degli Italiani, tartassati contestualmente dall’infinito aumento di tasse (soprattutto locali). Rispolverare il motto “era meglio quando era peggio” qualche volta conviene, soprattutto quando il peggio che ci troviamo di fronte ci fa rimpiangere quello che abbiamo alle spalle. Facile per Renzi invitare a non recarsi alle urne per il referendum sulle trivelle, ma invitare tutti al voto su un referendum costituzionale per il quale non è previsto un quorum. La rivoluzione d’ottobre è cominciata.
A ciascuno di noi il compito di renderla una rivoluzione di popolo per il suo bene, oppure l’instaurazione di un regime che del popolo se ne infischia. Del resto, basta considerare la mano pesante che questa riforma ha usato verso i referendum popolari, per farsi un’idea della piega che le cose prenderebbero. Anche l’elezione stessa dei cinque giudici della Corte Costituzionale, suggerisce l’impressione di un accentramento di potere nelle mani del “nuovo Senato” e della Camera, a discapito del Parlamento in seduta comune che dava maggiori garanzie di rispetto dell’equilibrio democratico fra maggioranza e opposizione. Se proprio volevano mettere mano seriamente alla Costituzione, potevano farlo chiedendo al popolo di passare o meno ad una forma di semi presidenzialismo alla francese, permettendo al popolo stesso l’elezione diretta del Presidente. A quanto pare, in Italia, gli esempi “esteri” vengono tirati in ballo solo in caso di effettiva convenienza politica. Quanto al merito del quesito referendario, questo è l’appello dei 56 costituzionalisti per il NO alla riforma:
Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche.
Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo. Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.
1) Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma, ascritto ad una iniziativa del Governo, si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare («abbiamo i numeri») anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di Governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.
2) Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni.
In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti, con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria, anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.
3) Ulteriore effetto secondario negativodi questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.
4) L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa,facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia, che non possono mai essere separate con un taglio netto, ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza «esclusiva» dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole «disposizioni generali e comuni».
Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.
5) Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento(espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive.
Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del Cnel: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.
6) Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.
7) Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto.Inoltre, se il referendum fosse indetto, come oggi si prevede, su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la Riforma in più progetti, approvati dal Parlamento separatamente).
Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma.
Se passerà questa riforma, deterremo il record di sostenitori incalliti dell’Italia come “Repubblica delle banane” e delle teste di….cocco.
Deriva autoritaria come da piano massonico?
Il testo in basso è un documento eccezionale, diffuso da Yusef Maryam da una fonte anonima (i massoni fanno giuramento di segretezza) e narra di tutti i progetti che la massoneria ha in serbo per il futuro, molti punti sono stati già realizzati o in fase di realizzazione, molti altri sono in discussione. Tra questi punti, la maggior parte dei quali portati avanti soprattutto dall’attuale governo Renzi, vi troverete anche l’intento palese della massoneria di abrogare la nostra Costituzione Italiana, per far posto ad una fantomatica costituzione europea:
- Esproprio delle seconde case, date gratuitamente in uso a clandestini e nomadi, in aggiunta alle case popolari già esistenti.
- Aumento della tassazione sulle prime case e sulle eredita’.
- Aumento dell’Iva.
- Prelievi forzosi sui depositi e risparmi dei cittadini italiani.
- Legalizzazione della prostituzione, anche minorile.
- Legalizzazione della droga.
- Ius soli e voto agli immigrati (aumentare l’immigrazione selvaggia: piano Kalergi, vedi fatti di Colonia e in giro per l’Europa, Italia compresa).
- Chiusura dei Cie e apertura totale delle frontiere.
- Parificazione in tutto e per tutto delle unioni e coppie di fatto a quelle regolarmente sposate (unioni civili).
- Diritto al matrimonio delle coppie gay, lesbiche, trans e bisex.
- Liberalizzazione totale dell’aborto, possibile anche postumo fino al 18esimo mese di vita del figlio.
- Rimozione di tutti i simboli religiosi e sacri da ogni luogo pubblico, ivi compreso il crocifisso, che non potra’ essere neanche indossato al collo, abolizione dell’insegnamento della religione a scuola.
- Messa all’indice della Bibbia, in quanto offensiva e discriminante per i non cristiani, per gli omosessuali, le prostitute e svariate altre categorie di persone, nonche’ divieto di evangelizzazione cristiana, in quanto parificata all’integralismo e al fondamentalismo religioso.
- Passaggio delle sovranita’ nazionali alla UE e all’ONU (N.W.O.).
- Comando militare assegnato alla NATO e fine degli eserciti nazionali.
- Distruzione e avvelenamento del Creato (scie chimiche che Renzi considera cose da malati di mente e dunque da sottoporre a T.S.O.).
- Liberalizzazione totale della pornografia.
- Insegnamento dell’educazione omosessuale, lesbica, transgenica e bisessuale a scuola (diffondere l’ideologia gender).
- Legalizzazione di pedofilia, poligamia e poliamore.
- Accesso alla procreazione assistita eterologa a qualsiasi coppia, anche non eterosessuale, al commercio degli uteri in affitto, allo sperma, agli ovuli fecondati, anche in vitro, agli embrioni umani.
- Legalizzazione dell’eutanasia e creazione di un’eta’ massima consentita di vita, e di un limite alla spese mediche di mantenimento per anziani, malati terminali non autosufficienti, oltre il quale si potra’ disporre dell’eutanasia di stato.
- Fine del concetto di cittadinanza nazionale e passaggio al concetto di apolidismo.
- Abrogazione della pensione sociale e della cassa integrazione, della garanzia bancaria dei depositi e della non fallibilita’ di banche ed enti pubblici, stati e nazioni.
- Imposizione a qualsiasi chiesa e religione, del dovere di celebrare le nozze omosessuali, lesbiche, incestuose, trans, bisex anche poligame.
- Abolizione del battesimo ai minorenni o a persone comunque non consenzienti. Scuole superiori ed universita’ a numero chiuso.
- Imposizione, come gia’ avviene in Cina, del numero massimo di 2 figli a coppia.
- Imposizione dell’inserimento di un chip sottocutaneo.
- Fine della circolazione della moneta cartacea (controllo globale e microchip sottopelle).
- Divieto di produzione alimentare per autoconsumo e G.a.s..
- Imposizione delle culture biologicamente modificate (OGM).
- Abrogazione del controllo della filiera alimentare.
- Divieto di detenzione di armi a civili non poliziotti.
- Scioglimento dell’arma dei Carabinieri e assoggettamento delle forze di polizia all’Eurogendfor Europea e dell’Esercito Italiano a quello della UE.
- Processabilita’ dei cittadini italiani anche al di fuori della giustizia italiana, quindi possibilita’ di estradizione per processi in altri paesi esteri, non piu’ diritto al giudice naturale.
- Perdita di tutti i diritti legati alla cittadinanza.
- In caso di nascita di un secondo figlio nelle coppie eterosessuali (vietato per legge) si potra’ procedere all’aborto imposto per legge, o in alternativa, la sottrazione per l’adozione a coppie gay, trans, bisex o lesbiche.
- La maggiore eta’ scattera’ a 16 anni, e la possibilita’ di riconoscimento di una sessualita’ autonoma, a 12 anni.
- Introduzione di una legge sull’omofobia che punisca chiunque e’ contrario a qualsiasi orientamento sessuale difforme da quello eterosessuale.
- La patria potesta’, puo’ essere tolta ai genitori naturali, su richiesta di un giudice, per motivi di interesse pubblico.
- Le Asl dovranno farsi carico del servizio sessuale a domicilio per gli aventi bisogno, attraverso operatrici sessuali assunte all’uopo dal governo comunitario centrale.
- Le riserve auree nazionali verranno assegnate alla UE e gestite dal Consiglio d’Europa e dalla BCE.
- Alimentare il caos con rivoluzioni, terrorismo false flag e guerre (il loro motto: Ordo ab Chaos!).
- Il parlamento Europeo, sara’ eletto ad opera di grandi elettori, non piu’ a suffragio universale.
- Abrogazione della Costituzione della Repubblica Italiana, del codice penale e civile italiano e adozione della Costituzione Europea e delle leggi europee.
- Quest’ultimo punto ci fa drizzare i peli perché riferito esclusivamente all’Italia e alla Costituzione Italiana, percepita evidentemente come un ostacolo all’abbattimento totale dei diritti e delle tutele dei quali è da sempre un baluardo. Con la riforma costituzionale Renzi-Boschi abbiamo cominciato con l’abrogazione del Senato, storica istituzione repubblicana e democratica, e con la modifica di norme che possono creare squilibri e conflitti tra poteri, chissà dove arriveremo ancora di questo passo. Arriveremo ad un regime dittatoriale “calato dall’alto” che porterà alla “marchiatura” forzata per l’impianto di un microchip sottocutaneo, pena la morte sociale prima, e quella fisica di conseguenza. La nostra libertà diventerà solo un nostalgico ricordo. Direi che c’è materiale sufficiente per porsi in serio allarme…
Ancora una piccola annotazione “a margine”: se sono fascisti tutti quelli contro le unioni gay, contro ogni deliberato sfregio alla nostra amata Patria, contro azioni immorali verso la dignità di ogni essere umano, allora ogni desta coscienza può dire con orgoglio: sì, sono fascista e me ne vanto.
Fonti:
Agenzia DIRE www.dire.it
iconicon.it
CINZIA PALMACCI