2 giugno, festa della Repubblica, amara!
Art. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
70 anni e non li dimostra, la nostra Costituzione largamente inattuata e in procinto di essere profondamente modificata per rispondere alle “esigenze” di efficienza, efficacia, “rapidità di decisioni dell’esecutivo. Largamente inattuata perché già dai principi fondamentali è possibile valutare quanto e quale lavoro abbiano fatto i nostri rappresentati parlamentari. Una classe politica, in questi settanta anni, non sempre inadeguata né priva di una certa dose di cultura, purtroppo priva di etica e morale sicché in più di un’occasione si è anteposto l’interesse privato o partitico all’interesse generale. Una Repubblica fondata sul lavoro dove il lavoro non c’è, ci si dice, ebbene “abbiamo salvaguardato la democrazia”!, certo, ma a costi assai alti per il cittadino, elettore e contribuente. Una o più generazioni sono state letteralmente tagliate fuori dal processo produttivo e dal poter contare qualcosa in questo Paese, né un recupero è possibile o ipotizzabile nel breve medio periodo. Tutti gli strumenti messi in campo per risolvere la piaga della disoccupazione prima o dopo mostrano il loro lato debole e se non fosse per la potenza degli sgravi fiscali non ci sarebbe nessun nuovo occupato da un anno a questa parte. Intanto si litiga sui numeri e questo consente ad ognuno di tirare una coperta cortissima sempre dalla propria parte. E gli italiani, i giovani disoccupati, gli esodati, i licenziati? Incapaci di indignarsi e purtroppo è questo il male peggiore di questo Paese, dove le armi di distrazione di massa sono sempre in agguato, dove manca l’impegno civile per disaffezione e disistima verso la classe dirigente. In un paese contiguo al nostro, la Francia, su una legge simile alla nostra, il famigerato Jobs Act, si discute in piazza e si manifesta con notti intere passate in piazza, notti bianche di protesta e di discussioni sul lavoro che non c’è. L’iniziativa dilaga, grazie ad internet e le piazze dove per intere notti si resta a manifestare e discutere si moltiplicano in tutto il paese, così da rimettere al centro l’argomento principale, che è il lavoro, Principio Costituzionale, Fondamentale. In Francia, come in Italia gli argomenti sono altri. Il referendum confermativo di ottobre, al quale sono legate le fortune o le sfortune del giovane premier, l’immigrazione, il debito pubblico abnorme, la crisi degli istituti bancari, i fatti più eclatanti di cronaca. Eppure i giovani e non solo loro sono senza lavoro, precari in un contesto di precarietà addirittura europeo. Infatti le riforme messe in atto dai paesi europei sono quasi del tutto simili, nessuno scatto di fantasia, ma omologazione al ribasso, liquidazione dei contratti nazionali, meno tutele, salari più bassi, ma per cosa? Sempre per un lavoro che non c’è, fino a quando non ci sarà ripresa economica e ripresa degli investimenti pubblici, che sono però zavorrati dal macigno del debito pubblico. Chi ha generato il debito pubblico? La clientela della nostra classe dirigente, la quale attraverso lo strumento del debito pubblico ha “pagato” il consenso elettorale di masse sempre meno coscienti del declino e della rovina verso la quale ci saremmo pian piano incamminati. Così il debito cresce anche in virtù degli incentivi fiscali, i quali parrrebbero poter far crescere il lavoro e l’occupazione, ma una volta terminati i numeri crollano, il peso della spesa resta e il beneficio e terminato. I giovani sono sfiancati da infiniti invii di curricula, infiniti stage, troppi contratti a termine, nessuna certezza per il futuro. Tra un po’ inizierà la saga delle notti bianche, rosa, nere, tutte dedicate al divertimento e allo sballo, nessuno che pensi davvero sia opportuno restare svegli una o più notti per chiedere “finalmente” lavoro, meno precarietà, più impegno di spesa sulle politiche di investimento pubbliche e meno sprechi, meno burocrazia, più sobrietà e trasparenza nella Pubblica Amministrazione, dove tanti troppi tarli ancora rosicchiano il poco legno rimasto.