Da Infolampo: Territorio – Ceta (omologo del Ttip)
La nuova frontiera del sindacato è il territorio
C’è un mondo, tutto da scoprire, che interessa il sindacato nella sua globalità, i lavoratori e, più in
generale, i cittadini. In particolare, è importante e lo diventerà sempre di più la contrattazione
territoriale, quella che si fa con gli enti locali, comuni, province, regioni per migliorare i servizi di
welfare e più in generale per andare incontro ai bisogni della gente, divenuti sempre più acuti in questi
anni di crisi.
Di questa contrattazione, di come deve crescere, di come è possibile farla ne abbiamo parlato con
Gaetano Sateriale, responsabile del Piano del lavoro della Cgil, che per le edizioni di Liberetà ha scritto
in questi giorni una Guida per aiutare chi vuole far crescere
questo segmento di attività sindacale.
di Massimo Mascini
Ed è emerso così come questa contrattazione territoriale,
mettendo in moto una serie di meccanismi economici, sia in
grado di dare un impulso notevole alla domanda interna,
aggredendo così uno dei maggiori fattori della stagnazione
che ci attanaglia.
Sateriale, sta nascendo un nuovo sindacato?
Diciamo che ci sono molte esperienze innovative.
Di che genere?
Vedo tante forme di contrattazione innovativa. Tra queste
quella territoriale, la più interessante. E la meno studiata.
Che caratteristiche ha?
Si svolge nel confronto con i comuni, in genere con gli enti
di governo territoriale. Punta a rispondere a bisogni sociali, quelli più avvertiti in quel dato territorio,
soprattutto in un periodo di crisi. Tanto è vero che per lo più si tratta di contrattazione difensiva, nel senso
che tende a mantenere servizi di welfare e a difendere dagli aumenti fiscali gli strati più deboli della
società.
Detto così sembra poca cosa.
No, è una realtà importante anche nella dimensione quantitativa. Ogni anno si concludono tra i mille e i
duemila accordi del genere. Il che significa che i sindacati, unitariamente, hanno spostato qualche cifra in
duemila bilanci degli enti di governo. Una realtà del tutto in controtendenza rispetto al tentativo di
cancellare i corpi intermedi della società.
In una fase storica in cui non c’è più la concertazione non è cosa da poco.
Questa che si fa in giro per l’Italia è concertazione, al di là di come la si voglia chiamare. E non è un
residuo del passato, sono ammortizzatori sociali utilissimi in un periodo di crisi. Utili anche per gli anti
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Ceta, il ‘fratello’ del Ttip che spaventa l’Europa
Il Ceta è un accordo di libero scambio Canada-Ue. Che ricalca quello con gli Usa. Rischi per salute,
occupazione e settore agricolo: la denuncia delle associazioni.
di Antonietta Demurtas da Bruxelles
«Se non vogliamo il Ttip, dobbiamo prima fermare il Ceta». È questo l’appello che ong, associazioni e
alcuni partiti politici hanno rivolto ai cittadini europei.
Dopo la mobilitazione per fermare i negoziati dell’accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti (Ttip), è
ora sul trattato internazionale tra Ue e Canada che le associazioni lanciano l’allarme e promettono
battaglia.
Ma il tempo a disposizione è poco: dopo cinque anni di negoziati (iniziati a maggio 2009 e conclusi a
settembre 2014) mancano solo la firma e il voto finale.
IN VIGORE NEL 2017? Se il Consiglio e il Parlamento europeo approveranno l’accordo nel 2016, il
Ceta potrebbe entrare in vigore già all’inizio del 2017, previa approvazione dei legislatori canadesi.
Mancano quindi pochi mesi per rimettere tutto in gioco e «smascherare un accordo che non è altro che un
Ttip sotto mentite spoglie», è l’accusa delle associazioni, che ricordano le parole usate dallo stesso
esecutivo Ue nei documenti pubblici: «Gli insegnamenti dell’accordo Ceta ispireranno certamente i
negoziatori dell’Ue con il Ttip».
Per questo motivo «dobbiamo portare più visibilità sul Ceta, specie nei Paesi che non sono informati
bene, serve influenza, coinvolgimento, azione», spiega l’europarlamentare tedesca Gabi Zimmer,
presidente della sinistra unitaria europea Gue, che a Bruxelles ha organizzato una serie di conferenze e
dibattiti sul tema.
Ceta, il gemello siamese del Ttip
Per l’Ue, il Ceta rappresenta il primo grande accordo commerciale con una potenza economica
occidentale (per il Canada è il secondo dopo il Nafta, firmato nel 1992 con Stati Uniti e Messico).
Promette vantaggi commerciali per 5,8 miliardi di euro all’anno, con un risparmio per gli esportatori
europei di 500 milioni di euro all’anno grazie all’eliminazione di quasi tutti i dazi all’importazione.
Uno studio congiunto Ue-Canada ipotizza 80 mila nuovi posti di lavoro.
LA CLAUSOLA ICS. Vantaggi che per i critici non sono nemmeno vicinamente paragonabili agli
svantaggi di quello che è defintio «il gemello siamese del Ttip».
«L’accordo con il Canada introdurrebbe tante misure comprese anche nel Ttip, quindi è il Ceta che
bisogna sventare per primo», dice Zimmer.
La maggiore preoccupazione è infatti che, con il via libera al Ceta, la maggior parte delle multinazionali
americane, già attive sul territorio canadese, potranno citare in giudizio nei tribunali internazionali privati
le aziende europee, avvalendosi della clausola Ics (Investment court system, ovvero il sistema giudiziario
arbitrale per la difesa degli investimenti), omologo dell’Isds inserito nel Ttip, che tanti Paesi Ue stanno
osteggiando.
LE CONSEGUENZE DEL NAFTA. E a spiegare agli europei che cosa significhi avere una zona di libero
scambio con gli Stati Uniti sono proprio i canadesi.
«Noi con il Nafta siamo stati la prima generazione che ha fatto i conti con questo tipo di accordi, ora
tocca a voi», ha raccontato al parlamento Ue Sujata Dey, rappresentante del Consiglio dei canadesi, una
delle più grandi organizzazioni di difesa dei cittadini che raccoglie oltre 100 mila membri.
«Ci dissero che avremo avuto crescita economica, che saremmo diventati molto ricchi, ma la crescita non
è stata per tutti. I salari dei manager sono triplicati, ma adesso c’è più disoccupazione e siamo una delle
società con più diseguaglianze all’interno dell’Ocse».
MENO POSTI DI LAVORO. Di posti di lavoro, racconta Dey, «ne abbiamo più persi che trovati». Dopo
il Nafta, per esempio, la società Caterpillar dall’Ontario ha delocalizzato negli Usa e poi in Messico.
Risultato: oltre 350 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero sono andati in fumo. «E come se non
bastasse, siamo uno dei Paesi più citati nei tribunali arbitrali».
Se infatti all’inizio l’Isds fu accettato come strumento necessario per tutelarsi da un sistema giudiziario
poco equo e mal funzionante come quella messicano, paradossalmente è stato il Canada a pagare le
conseguenze per le sue best practice: «Siamo stati citati più volte perché abbiamo norme sociali e
ambientali più elevate. Abbiamo perso due terzi di questi ricorsi Isds contro aziende che si occupano di
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europa_43675248623.htm