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Da Infolampo: Manovra – Rai

Palinsesto-Rai-2017Manovra, l’Ue pronta a inviare una lettera all’Italia

Bruxelles chiede un taglio del deficit di 1,6 mld. Renzi: «Non cambiamo la legge di stabilità».

Ancora una volta sotto esame. La Commissione Ue non è per nulla convinta di quel 2,3% di deficit e

punta il suo faro contro la Legge di Stabilità del governo Renzi, e a meno di una svolta nel fine settimana,

già lunedì 24 ottobre potrebbe inviare a Roma una lettera di avvertimento, chiedendo un taglio del deficit

di almeno 1,6 miliardi.

«Non ne abbiamo parlato», ha spiegato Matteo Renzi, che dal 20

ottobre, dopo essere rientrato dalla cena alla Casa Bianca, è a

Bruxelles per il vertice europeo, «però il tema non cambia

assolutamente niente. Potranno scrivere, come si fa sempre, una

lettera per chiedere maggiori spiegazioni», ha detto il premier a Rtl

102.5.

«NESSUNA MODIFICA». La presa di posizione è netta, nessuna

apertura a una trattativa coi vertici continentali. «La legge di

bilancio non si cambia: se l’Ue avrà osservazioni da fare

ascolteremo ma questa manovra ha il deficit più basso degli ultimi

10 anni: gli sforzi li stiamo facendo e vogliamo dare un segnale ai

cittadini non alle tecnocrazie di Bruxelles».

Nessun vertice bilaterale con il presidente Jean Claude Juncker,

dunque, come era stato ipotizzato in un primo momento. Roma

attende le osservazioni europee, per rispondere punto su punto. Per

esempio argomentando come un reddito ancora troppo sotto al potenziale non obblighi il Paese ad

affrontare un risanamento strutturale nel 2017.

«L’Europa preoccupa il mondo»

Ma per Renzi i problemi sono altri: «L’Europa preoccupa il mondo» e deve cambiare direzione. Il premier

l’ha spiegato ai suoi, indicando come decisivo l’appuntamento di marzo a Roma per il 60esimo

anniversario del primo Trattato europeo.

Tre i pilastri della nuova strategia: discontinuità delle politiche economiche europee per chiudere la

stagione dell’austerity facendo leva anche sul pressing intellettuale aperto dallo stesso Obama, poi

costruzione dell’identità europea con una serie di iniziative culturali e concreto sviluppo dell’Europa

sociale. Nell’incontro con gli europarlamentari «non si è parlato degli zerovirgola», ha raccontato il

presidente della commissione Econ dell’Europarlamento Roberto Gualtieri, ma «dei grandi temi» europei.

REFERENDUM «PASSAGGIO IMPORTANTE». Con sullo sfondo il referendum, considerato «un

passaggio importante, oltre che per il merito anche perché ci rende più forti nella nostra battaglia di

cambiamento sull’Europa», ha aggiunto Gualtieri.

Ai parlamentari ‘dem’ il premier racconta che, dopo la Brexit, era convinto che l’uscita della Gran

Bretagna sarebbe stata un’occasione per ripartire, mentre invece c’è stata una marcia indietro tra l’incontro

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Cementir-Sacci,

è sciopero nazionale

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La Rai? Povera, incerta, al guinzaglio

Senza soldi sicuri e senza regole certe. In discussione fattori essenziali come l’autonomia e il pluralismo,

l’indipendenza dei finanziamenti e la certezza delle risorse. Così il servizio pubblico finisce nella mani

del governo e della maggioranza

di Silvia Garambois

La Rai aspettava dal canone per il 2016 ben oltre un miliardo e settecento milioni, ma fino ad ora con la

tassa nella bolletta della luce è arrivato nelle casse solo un miliardo. La confusione è tale – esenzioni

saltate, canone pagato doppio, ancora un margine di evasione, ultime rate da riscuotere – che il calcolo

finale è impossibile da fare. Ma quale azienda (quale famiglia, per altro) può programmare la sua attività

se non sa di quanti soldi dispone? “La Rai ha lavorato un intero anno senza sapere né la missione né le

risorse a disposizione, non è mai avvenuto. Questo taglia le gambe a qualunque idea di programmazione,

non si può organizzare un’azienda sui si dice”, denuncia il sindacato dei giornalisti Rai. Ma se questo

riguarda i conti del 2016, c’è però un problema assai più grave per l’autonomia della Rai: la certezza delle

risorse non dipende infatti solo da quanto verseranno i contribuenti, ma anche – da una legge di stabilità

all’altra – da quante di quelle entrate il governo deciderà di “lasciare” alla Rai.

L’autonomia e l’indipendenza dei finanziamenti, la certezza delle risorse a media e lunga durata, sono

considerate in tutta Europa uno dei fondamenti per l’autonomia del servizio pubblico: “La riforma – dice

Vittorio Di Trapani, segretario Usigrai – consegna nei fatti alla maggioranza parlamentare, anno per anno,

di rivedere le risorse del servizio pubblico”. Insomma, di tenerlo al guinzaglio.

Ma l’indipendenza oltre che dai soldi dipende dalle norme. E qui siamo, come dice uno che queste cose le

sa, le insegna e le studia, Roberto Zaccaria (ex presidente della Rai, ex parlamentare, professore di diritto

costituzionale), alla “marmellata”.

Oggi infatti, licenziate la nuova legge sulla Rai (dello scorso dicembre) e quella sull’editoria (di qualche

settimana fa), a governare il servizio pubblico saranno: la legge, la Concessione di servizio pubblico, la

Convenzione Stato-Rai (una carta che dal ’94 era stata superata dal Contratto di servizio e che ora invece

è inaspettatamente rispuntata) e infine il Contratto di servizio. Una sovrapposizione di norme, di indirizzi,

di mission (come si usa ormai dire per indicare quello che la tv pubblica deve fare: ovvero imparzialità e

pluralismo nell’informazione, adeguata distribuzione dei generi, obblighi nei confronti dei minori e dei

più deboli, messaggi di pubblica utilità), da far girare la testa. E da impedire controlli rigorosi.

Soprattutto si tratta di un insieme di norme e sottonorme affidate tutte nelle mani del governo, con una

infinita serie di decreti delegati. Di fatto oggi per la Rai si attende che il Consiglio dei Ministri prepari e

approvi questi decreti; che affidi finalmente la Concessione di servizio pubblico dopo averla fatta slittare

dallo scorso maggio a ottobre e poi (con un comma infilato in una legge che non c’entrava niente, quella

per gli appalti) al prossimo gennaio; che scriva la Convenzione (l’ultima è del 1994); che rinnovi il

Contratto di servizio (l’ultimo è del 2010, quello del 2012 giace ancora nei cassetti). Oggi come oggi, in

estrema sintesi, la Rai è senza soldi sicuri e senza regole certe. Senza neppure la conferma della

Concessione di servizio pubblico.

In cambio, lo scorso luglio si è chiusa la “consultazione on line” del governo che con 36 quesiti chiedeva

ai cittadini cosa volevano dalla Rai: sono arrivate circa 11mila risposte (bastava uno smartphone e una

noiosa attesa dal dentista per dire la propria), le sta vagliando l’Istat, e i risultati dovrebbero finire in un

documento allegato al nuovo testo della Convenzione.

Prima, a governare questi meccanismi, c’erano il lavoro parlamentare e i decreti del Presidente della

Repubblica. Ora tutto è accentrato a Palazzo Chigi. Non intendevamo questo quando dicevamo: giù le

mani della politica dalla Rai.

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