Olio di Palma o Olio di Colza: dalla padella alla brace?
In quelle sterminate distese di fiori gialli, coltivati dalla Cina al Canada, c’è un dilemma che divide un po’ tutti, a partire dalla comunità scientifica: l’olio di colza fa male all’organismo umano? È un errore continuare a proporlo per l’uso alimentare, oppure il prodotto come si presenta oggi, riveduto e corretto nella sua composizione, non presenta rischi per la salute? La risposta non è univoca, nonostante la Rete si sbilanci verso la condanna: per alcuni, in particolare studiosi, la Brassica napus, o meglio il prodotto modificato oggi denominato olio di canola, è innocua, per altri, in prevalenza nutrizionisti, va senza indugio tolta dal mercato perché dannosa. Una questione sempre aperta, e sempre in bilico anche dopo il parere dell’Efsa, quello che ha riscontrato sostanze potenzialmente pericolose nei principali oli vegetali, e in particolare nell’olio di palma: un portavoce dell’autorità europea sulla sicurezza alimentare a domanda sulla colza ha dichiarato che le concentrazioni di contaminanti sono in questo caso 10 volte inferiori rispetto a quelle presenti nella palma.
L’Olio di Colza fa male? Opinioni a confronto
Giovanni Lercker, docente di Gestione e analisi della qualità dei prodotti agroalimentari alla scuola di Agraria all’università di Bologna, non ha dubbi: “Non può essere considerato pericoloso per la salute”. E sul parere dell’Efsa procede spedito: “Da questo studio risulta che tutti gli oli hanno questi contaminanti MCPD presenti, anche se i contenuti sono molto bassi ad eccezione di palma (grasso e olio) e girasole. Mi aspetto che anche e soprattutto gli oli di sansa e oliva commerciali prodotti a partire dalle sanse italiane, a causa gli elevati contenuti di digliceridi, siano ricchi più del palma di tali componenti sgraditi”.
Il perché l’olio dicolza non può essere considerato pericoloso necessita a suo avviso di una premessa storica: “L’olio di colza, da diversi anni, è chiamato canola oil, in italiano olio di canola. Quello classico non poteva più essere prodotto in quanto aveva un contenuto di acido erucico elevato (fino al 45% degli acidi grassi totali) che ne rendeva sconveniente la produzione, in quanto la commercializzazione di oli contenente quello di colza non potevano avere più del 5% di acido erucico.
Negli anni 70, l’olio di colza ad elevato erucico, era stato studiato per gli effetti sulla salute con sperimentazioni fatte su 10 specie animali differenti, nei quali l’alimentatazione con quantità massive di olio aveva prodotto infiltrazioni di olio nel miocardio. Con tutte le riserve possibili sulla conduzione e sulle modalità di progettazione di tali ricerche, l’olio di colza fu considerato problematico e ne fu limitata la quantità negli alimenti in base al contenuto di acido erucico. Il sospetto di questa forzatura sul pericolo nei consumo di olio di colza ad alto erucico era riconducibile alla recente disponibilità di nuove varietà di semi con olio ottenibile a basso contenuto di acido erucico, per cui si apriva una nuova vita per le produzioni canadesi di olio dalla colza”. Quello classico, utilizzato massicciamente per la produzione di carburanti, salutava dunque ufficialmente il mercato alimentare.
Il prodotto attuale
Il canola oil, spiega ancora Lercker, “è stato ottenuto con selezione naturale, realizzata dai ricercatori canadesi (ecco perché compare nel nome can) specialisti di questa materia prima oleaginosa da sempre, e contiene quantità di acido erucico nella sua composizione degli acidi grassi inferiore a 0,05% (in gergo tecnico si dice a doppio 0)”. Quest’olio dunque, secondo il docente, autore di diversi studi su questa e altre sostanze, “è paragonabile a tutti gli altri oli ottenuti da semi, ma con il vantaggio di avere contenuti di acidi grassi polinsaturi, più instabili alla utilizzazione degli oli, molto inferiori. Pertanto non può essere considerato pericoloso per la salute, ma semmai un po’ meglio degli altri oli di semi negli impieghi culinari ed industriali alimentari”.
“L’olio di canola fa male”
Antonio Chicone, nutrizionista impegnato soprattutto in Romagna, guida invece la truppa dei detrattori: “In Italia – attacca – non viene utilizzato per l’alimentazione domestica come singolo prodotto, cosa che invece avviene con l’extravergine di oliva e con altri oli vegetali. In molti casi però l’olio di colza si nasconde dietro la dicitura generica di oli vegetali, presente ad esempio nella margarina”. La canola oil, da quando esiste, divide sulla sua effettiva pericolosità, ma Chicone è scettico e lo argomenta: “Anzitutto: questa varietà viene prodotta soprattutto in Canada e rientra nei 4 organismi geneticamente modificati maggiormente immessi sul mercato. Non a caso proprio Canada, India e Pakistan sono tra i principali produttori e anche tra i territori dove si coltivano con più facilità e meno restrizioni gli Ogm. La maggior parte dell’olio di colza prodotto nel mondo quindi sarebbe Ogm». Ma non basta: “L’olio di colza non è spremuto a freddo, viene ottenuto mediante laboriosi processi di raffinazione che prevedono l’impiego di calore e solventi, viene anche decolorato e deodorizzato. L’olio canola per il processo di parziale idrogenazione e di raffinazione cui è sottoposto porta la quota degli acidi grassi trans a circa il 5%. Ma la cosa peggiore è che questa percentuale aumenta notevolmente (25%) quando si usa l’olio canola per friggere. Dato certamente non positivo».
In quali alimenti lo possiamo trovare
Basta uno sguardo alle etichette di prodotti tra più comuni ed ecco spuntare una lista fitta di alimenti a base di olio di colza: zuppe, margarine, grissini, dolciumi, biscotti, torte, creme, brioches. E ancora, prodotti surgelati, conserve di pesce e verdure, fritture. E l’elenco potrebbe allungarsi. «In Italia abbiamo a disposizione oli di qualità decisamente superiore, a partire dall’olio extravergine di oliva, la scelta migliore su tutte le altre tipologie di olio – chiosa il nutrizionista -, dunque è preferibile usare oli nostrani di qualità, preferibilmente spremuti a freddo e di origine biologica».
Occhio all’etichetta
Il consumatore che non abbia le idee chiare ha a disposizione uno strumento importante, la lettura dell’etichetta del prodotto: non è richiesto che sia dettagliata come deve essere quella dell’olio extravergine, ma contiene almeno l’indicazione della presenza della famigerata colza, o meglio del canola oil. Difficile, al tirar delle somme, che questo prodotto provochi uno scandalo analogo a quello innescato di recente dall’olio di palma, ma sulle sue proprietà e sulla sua vera o falsa pericolosità si dibatterà probabilmente ancora a lungo. Ricapitolando: l’olio di colza, quello ricco di acido erucico, è utilizzato dall’industria chimica per la fabbricazione di bio-carburanti e lubrificanti, mentre quello geneticamente modificato, olio di canola, viene impiegato nell’industria alimentare per il confezionamento di un gran numero di prodotti. È dunque l’acido erucico la discriminante, anche se il Ministero della Salute ha di recente fatto sapere in un parere del comitato per la sicurezza alimentare di voler modificare anche i limiti attuali.
E voi, che posizione avete su questa sostanza? Avete mai notato la sua presenza nell’etichetta di un prodotto alimentare?
Renzo Sanna – Ilaria De Lillo