Da Infolampo: Sanità pubblica – Europa
La sanità pubblica tra indifferenza e laissez faire
Purtroppo il Ssn non è un sistema in grado di andare avanti da sé: perché funzioni bisogna metterci ogni
giorno responsabilità, passione e professionalità. Cosa che fanno i molti operatori che non si
rassegnano. Ma il loro impegno non è più sufficiente
di Nerina Dirindin
Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.2 2016 de La Rivista delle
Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla
rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista
Da parecchi anni, la sanità pubblica italiana si sta indebolendo.
Le cause non sono solo riconducibili alle (pur importanti)
restrizioni economiche dovute alle difficili condizioni generali
del Paese, ma soprattutto a un crescente disimpegno nei
confronti delle politiche di tutela della salute che si manifesta
in un atteggiamento di laissez faire: un mix di indifferenza e
liberismo che, di fronte ai problemi, tende a confidare
nell’evoluzione naturale della situazione, nella convinzione
che un qualche esito, positivo o comunque non indesiderato,
sia in ogni caso raggiungibile anche in assenza di qualunque
intervento.
Per la verità più che di una consapevole adesione ai principi
del liberismo economico si ha l’impressione che si tratti di un
mix di inesperienza e compiacenza: inesperienza rispetto alla
complessità del settore e compiacenza rispetto agli interessi del
mercato della salute. Ma purtroppo il Servizio sanitario
nazionale non è un sistema che, una volta introdotto, è in grado
di andare avanti da sé: perché funzioni bisogna metterci, ogni giorno, impegno, responsabilità, passione e
professionalità. Cosa che fanno molti operatori che tenacemente si ostinano a opporsi all’indifferenza, si
impegnano a garantire servizi ai cittadini e sopportano condizioni di lavoro talvolta persino poco
dignitose.
Ma il loro impegno non è più sufficiente a colmare l’indifferenza di molti vertici. Troppo spesso le
amministrazioni regionali si limitano a restringere l’offerta di servizi sulla base delle risorse che lo Stato
trasferisce loro, diventando amministrazioni di mera spesa, rinunciando a svolgere quel ruolo che negli
anni passati avevano esercitato con una notevole forza politica (in gran parte perduta) e una buona
capacità tecnica (ancora in gran parte presente). Non è certo possibile generalizzare, ma più elementi
portano a ritenere che la qualità delle politiche messe in atto da tutte le Regioni è nettamente peggiorata
nel corso degli ultimi anni, con il risultato che le realtà storicamente più solide e organizzate riescono a
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Gratta e perdi
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Europa: un recente Rapporto del Bruegel
Il recente Rapporto “An anatomy of inclusive growth in Europe”, pubblicato dal think-tank europeo
Bruegel, non si occupa della sola crescita del PIL, ma, come evidente dal titolo, si focalizza sulla
cosiddetta “crescita inclusiva”, definita dagli estensori del Rapporto come quel tipo di crescita che
“crea opportunità per tutti i segmenti della popolazione e le ripartisce in maniera giusta”.
di Stefano Filauro
A questo proposito il Rapporto presenta una di fotografia di tutte quelle dimensioni economiche, come
disuguaglianza, povertà, pressione fiscale e disoccupazione che possono porre seri problemi, da una parte,
alla crescita del reddito nazionale e, dall’altra, a una sua distribuzione bilanciata tra i cittadini e le nazioni
che costituiscono l’Unione Europea.
Porre l’attenzione sull’inclusività del processo di crescita assume importanza dopo anni in cui il
mainstream economico e le istituzioni internazionali si sono generalmente preoccupate di analizzare le
determinanti e di promuovere politiche a sostegno della crescita del PIL, trascurando come gli eventuali
frutti della crescita venissero distribuiti fra gli individui e fra i territori.
In questa scheda intendiamo focalizzarci su due dei principali temi trattati nel Rapporto del Bruegel
Institute, ovvero l’interessante analisi della distribuzione dei redditi nell’intera Unione Europea,
considerando quindi la UE come un’unica nazione, e la relazione fra sviluppo tecnologico e andamenti
del mercato del lavoro.
Nel Rapporto si illustra l’evoluzione della disuguaglianza dei redditi a livello europeo, considerando
quindi le sperequazioni della distribuzione dei redditi dei cittadini europei non all’interno dei propri stati
ma nella dimensione dell’intera Unione Europea, come se non ci fossero confini. Tale esercizio ricalca
l’idea di una misura della disuguaglianza a livello globale – a cui hanno contribuito soprattutto gli studi di
Branko Milanovic e, di recente, un rapporto della Banca Mondiale peraltro basato su quegli studi,
entrambi già discussi sul Menabò – ed è condotto tramite tecniche di imputazione statistica delle
distribuzioni nazionali per determinare indici di disuguaglianza a livello continentale.
La distribuzione dei redditi di quella che è oggi l’Unione Europea a 28 Stati è calcolata a partire dal 1989,
quando ancora molti Stati Membri dovevano, dunque, effettivamente entrare nell’UE. Guardando
all’evoluzione dell’indice di disuguaglianza di Gini dei redditi disponibili (resi equivalenti per tenere
conto delle dimensioni dei nuclei familiari) per l’UE a 28 (Figura 1), si notano sostanzialmente tre fasi:
dapprima un aumento notevole nel periodo 1989-93, seguito da una lenta riduzione fino al 2008 e,
successivamente, un assestamento su valori vicini a 0,33.
Il livello di disuguaglianza all’interno dell’Unione Europea a 28 la qualifica dunque come un’ area con
una disuguaglianza ben maggiore di molti degli stati al suo interno – quelli nordici, quelli continentali,
quelli anglosassoni ed alcuni orientali – e approssimabile a quella dei più sperequati stati orientali, come
Romania o Bulgaria.
Ad ogni modo, guardando allo scarto tra l’indice di Gini nei redditi disponibili equivalenti rispetto a
quelli equivalenti di mercato (ovvero al netto di imposte e trasferimenti), gli autori fanno notare come
l’intervento redistributivo di riduzione delle disuguaglianze attuato dagli stati nazionali sia più efficace
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europa-un-recente-rapporto-del-bruegel/