INDAGINE INRCA, FARMACI POTENZIALE CAUSA DISFAGIA PER 9 ANZIANI SU 10
Ben l’87% degli anziani – quasi 9 su 10 – che risiedono in Residenze sanitarie assistite assume
da 1 a 4 farmaci al giorno che potenzialmente provocano disfagia, ovvero la difficoltà ad
ingerire cibi solidi o liquidi, aumentando così il rischio di malnutrizione. È quanto emerge da
uno studio condotto dall’Irccs Inrca – Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani –
presentato al “6° Congresso Europeo dei disturbi della deglutizione”. “La disfagia comporta
l’alterazione delle normali funzioni deglutitorie, interessa in genere il 20% delle persone sopra i
50 anni e dal 30 al 60% degli anziani che vivono in strutture residenziali o case di riposo” –
spiega Paolo Orlandoni, responsabile dell’Unità operativa di Nutrizione clinica dell’Inrca –
Riguarda l’area della cavità orale, oppure faringe o esofago e può essere causata
dall’indebolimento dei muscoli dovuto all’invecchiamento o da malattie neurodegenerative
come Alzheimer e Parkinson, nonché da farmaci assunti in maniera continuativa (disfagia
iatrogena) dagli anziani”.
Con l’obiettivo di valutare il legame tra farmaci e disfagia, ancora poco descritto a livello
scientifico, l’Inrca ha condotto un’indagine su 140 anziani all’interno di due Residenze sanitarie
assistite (Rsa) nel territorio di Ancona per un periodo di quattro mesi. Nel corso dello studio
sono stati valutati lo stato nutrizionale (peso e indice di massa corporea), la dieta seguita,
l’eventuale presenza di disfagia, rilevata nel 34% dei casi, e il numero medio di farmaci assunti
al giorno, risultato pari a 8, con picchi di 19 nei casi più gravi. Il 34% degli anziani risultava
malnutrito, con un Indice di Massa Corporea inferiore a 22 Kg/ m², mentre il 40% aveva
registrato negli ultimi sei mesi una perdita di peso non intenzionale superiore al 5%. Disfagia e
malnutrizione infatti presentano molti aspetti in comune che si sovrappongono, contribuendo
alla difficoltà di riconoscimento da parte del personale sanitario.
L’effetto dei farmaci. “Sono tre i meccanismi con cui i farmaci incidono negativamente sul
processo deglutitorio” – spiega Claudia Venturini, medico nutrizionista Inrca e coautrice dello
studio – Il primo è l’effetto collaterale del farmaco, ad esempio di medicine che riducono la
produzione di saliva (xerostomia), riscontrate nell’11% del campione e che contengono
soprattutto cytalopram, metoclopramide, paroxetina e lisinopril, oppure di antipsicotici e
neurolettici, assunti dal 25%, i cui principi attivi più comuni sono la quietapina, la clozapina,
l’olanzapina, il risperidone e l’aloperidolo. Poi ci sono le complicanze dovute all’azione
terapeutica: è il caso dei narcotici e degli antiepilettici che, agendo sul sistema nervoso
centrale, riducono vigilanza e attenzione, compromettendo così la sicurezza del processo
deglutitorio. Contengono generalmente ossicodone, fenobarbital, prednisone, clonazepam,
diazepam, paracetamolo e codeina oppure morfina. Ne fa uso il 32% dei pazienti dello studio.
Alcuni farmaci infine producono danni alla mucosa esofagea, come gli antinfiammatori non
steroidei e i bifosfonati (ibuprofene e acido acetilsalicilico) o gli integratori di ferro o di
potassio, comunemente usati dalle persone in età avanzata per lunghi periodi come nel
trattamento dell’osteoporosi o per problemi cardiaci (riscontrati nel 29% dei pazienti).
“Specialmente negli anziani soggetti a polifarmacoterapia – aggiunge la dott.ssa – è importante
quindi valutare periodicamente la funzionalità deglutitoria, in modo da intervenire ai primi
sintomi di disfagia ed eventualmente sostituire un farmaco potenzialmente lesivo con un
principio attivo meno dannoso, o addirittura sospenderlo se non strettamente necessario”.
A chi rivolgersi. All’Inrca è attivo un ambulatorio di nutrizione clinica (mercoledì e venerdì,
ore 9-13) dove si effettua una valutazione dello stato nutrizionale, delle funzioni deglutitorie e
un riesame della terapia farmacologica, anche grazie al supporto del farmacista ospedaliero.
Per fornire diagnosi in tempi rapidi l’ambulatorio comprende vari specialisti, tra cui medico
nutrizionista, dietista, logopedista e fisioterapista esperto nella riabilitazione dei muscoli
coinvolti. La gestione della disfagia infatti è una pratica complessa, che richiede la presenza di
un gruppo di lavoro interdisciplinare costituito da esperti con competenze specifiche.
Il campione, composto per l’80% da donne e dal 20% da uomini, presentava un’età media di
86 anni. Il 60% con patologie degenerative e il 93% con polipatologie e un tempo medio di
permanenza in struttura di più di 400 giorni. Il 79% dei pazienti era in grado di nutrirsi in
maniera indipendente, con un tempo medio per pasto compreso tra 45 e 60 minuti.
Ancona, 14 febbraio 2017