Da Infolampo: Non autosufficienza – Ceta
Non autosufficienza: sindacati, tagli inaccettabili
L’allarme di Cgil, Cisl e Uil, lanciato insieme alle sigle dei pensionati, dopo l’incontro con il governo:
“Anche il ministro Poletti e gli assessori regionali presenti al tavolo hanno dichiarato di non
condividerli”
“I tagli ai fondi sociali ventilati in queste ore, tagli che lo stesso ministro Poletti e gli assessori regionali
presenti hanno dichiarato di non condividere, sono inaccettabili”. È quanto si legge in una nota unitaria
firmata da Cgil, Cisl e Uil con i sindacati dei pensionati
(Spi, Fnp e Uilp) che hanno partecipato oggi (14 febbraio)
al tavolo nazionale per la non autosufficienza presso il
dicastero del Lavoro. Le organizzazioni sindacali si
aspettano “che alle dichiarazioni seguano fatti ben precisi
da parte del governo e delle Regioni e che questi, insieme
alle forze politiche, assumano il tema della non
autosufficienza come una priorità nell’agenda del Paese,
che necessita di una strategia specifica per fronteggiare
positivamente l’impatto delle tendenze demografiche e
l’aumento delle fragilità sociali, al fine di assicurare i diritti
delle persone in condizione di non autosufficienza,
rimuovendo gli ostacoli che impediscono la piena
inclusione sociale”.
La decisione dell’esecutivo, assunta con il “decreto
coesione sociale” a gennaio 2017, di incrementare il fondo
sulla non autosufficienza, portando la dotazione annua a
500 milioni, ora rischia di essere azzerata. “Tutto ciò – si
legge ancora nella nota – è gravissimo considerando che le risorse stanziate erano già insufficienti per
rispondere in modo adeguato ai bisogni delle persone. I sindacati presenti all’incontro ritengono, quindi,
che occorra un piano di graduale ma garantito incremento della dotazione strutturale del fondo, con
l’obiettivo di ridefinire le risorse globali per le cure a lungo termine Ltc”.
I sindacati hanno rivendicato “la presentazione della proposta di un Piano nazionale per la non
autosufficienza che deve affrontare, prioritariamente, la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni
sociali, integrati con i nuovi Lea sanitari, come strumento per assicurare i diritti in tutto il Paese,
consapevoli che, accanto a prestazioni e a servizi sociali e sanitari, bisogna riorganizzare e migliorare le
condizioni di vita quotidiana: per l’abitare, il tempo libero, i trasporti, la mobilità (es. barriere
architettoniche), le relazioni affettive e con la comunità, l’invecchiamento attivo, la piena inclusione. Si
ritiene, dunque, essenziale che questi impegni, insieme all’obiettivo di strutturare politiche e servizi sulla
non autosufficienza, si realizzino con la più ampia partecipazione sociale, dando così continuità al tavolo
costituito presso il ministero”, conclude la nota.
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Busta pesante: con il nuovo
decreto un passo avanti e due
indietro
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Ceta, no grazie
Un accordo commerciale né progressista né equo. Così in una lettera la Cgil chiede ai parlamentari
europei di “respingere nel voto in plenaria previsto per mercoledì 15 febbraio la proposta di decisione
del Consiglio sulla conclusione del Ceta”
di Alice Frei
La Cgil, in una lettera a firma del segretario generale Susanna Camusso e del coordinatore delle politiche
internazionali Fausto Durante, chiede ai parlamentari europei di “respingere nel voto in plenaria previsto
per mercoledì 15 febbraio la proposta di decisione del Consiglio sulla conclusione del Ceta”.
La Cgil, si legge nella lettera, “in sintonia con la Ces e con le Federazioni Sindacali Europee di categoria,
intende rappresentare le sue forti preoccupazioni in merito all’accordo Ceta, tra Canada e Unione Europea
nel testo attuale sottoposto al voto del Parlamento europeo.
Lo Strumento interpretativo comune (JII) e le dichiarazioni allegate al Ceta non forniscono chiarimenti
sufficientemente esaustivi né risposte adeguate a tali preoccupazioni, oltre a conservare aspetti giuridici
incerti per quanto riguarda la loro effettiva applicabilità ed efficacia.
Vi chiediamo pertanto di non votare a favore della ratifica dell’accordo nella seduta plenaria del 15
febbraio, al fine di promuovere la ripresa di ulteriori negoziati che possano far evolvere l’accordo nella
direzione dell’interesse dell’occupazione di qualità, dei diritti dei lavoratori e della piena salvaguardia e
promozione dei valori fondanti dell’Unione Europea.
I punti che destano la nostra maggiore preoccupazione sono i seguenti:
1 – Il Ceta non è un accordo commerciale né progressista né equo
La politica commerciale è sempre più spesso al centro del dibattito pubblico, anche perché essa travalica
la tradizionale materia dei commerci e si allarga a temi (dalla potestà regolamentare delle istituzioni alla
liberalizzazione degli investimenti e delle attività finanziarie e alle cosiddette barriere non doganali) che
definiscono un quadro cogente dell’insieme delle attività economiche, con pesanti effetti sullo spazio di
azione politica dei governi e dell’Unione stessa e sulla condizione materiale dei lavoratori e dei cittadini.
È ormai urgente che gli accordi di libero scambio debbano essere effettivamente posti al servizio di
obiettivi più vasti quali l’occupazione, i diritti umani, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile. A tal
fine è indispensabile una maggiore democratizzazione e trasparenza dei negoziati a partire da una
definizione dei mandati affidati ai negoziatori, che risponda alla domanda dei cittadini e non solo alle
pressioni delle lobbie economico-finanziarie.
Il Ceta non soddisfa questi obiettivi e queste esigenze di trasparenza e pertanto non è e non può diventare
un modello di riferimento per la prossima generazione di accordi; inoltre i vantaggi attesi in termini di
crescita degli scambi e dell’occupazione sono dubbi o assai limitati e non tali da giustificare i rischi insiti
nell’accordo sottoposto alla ratifica. Il Comitato Occupazione e Affari sociali del Parlamento Europeo ha
espresso il suo parere nel dicembre 2016 chiedendo di respingere il Ceta, in quanto esso ha fallito nel
sostegno alla creazione di posti di lavoro dignitosi, di un equilibrato aumento dei salari e di maggiori
opportunità per l’imprenditorialità – sia all’interno dell’Unione sia in quei paesi, particolarmente in questo
caso dell’Africa, minacciati dagli effetti distorsivi del Ceta sugli scambi con essi.
I rischi del ritorno al protezionismo e i pericoli insiti in possibili guerre commerciali non si combattono
con un’acritica promozione della liberalizzazione e della deregolamentazione degli scambi e degli
investimenti, che non farebbe altro che alimentare ulteriormente la deriva populista, ma impegnando
l’Unione Europea e i suoi partner nell’impresa di ridisegnare politiche commerciali multilaterali e
bilaterali al servizio dell’interesse generale, della qualità dello sviluppo, della cooperazione tra paesi e
aree regionali nella costruzione di un diverso, più equo, inclusivo e democratico sviluppo dell’economia e
delle nostre società.
2 – Il Ceta è debole sul fronte dei diritti umani, compresi i diritti dei lavoratori
Il Ceta non contiene una clausola che sancisca il rispetto dei diritti umani come elemento essenziale
dell’accordo e non rende esplicita l’esclusione delle normative contrattuali e di legge sui diritti e le
condizioni di lavoro (a partire dalla salute e sicurezza sul lavoro) e sulla parità retributiva a parità di
lavoro dall’ambito dell’accordo stesso, mentre il capitolo sullo sviluppo sostenibile non prevede procedure
esigibili e norme vincolanti e deterrenti per garantire il rispetto delle convenzioni fondamentali dell’OIL e
dei diritti dei lavoratori in genere. I meccanismi di monitoraggio sono insufficienti e questo rischia di
portare a un maggior dumping sociale, a un aumento dei casi di violazione dei diritti sociali e una spirale
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