Da Infolampo: Caporalato – Marx
Il caporalato degli appalti nei campi romagnoli
L’illegalità venuta alla luce nelle cronache di questi giorni è figlia anche della deregolamentazione
introdotta negli ultimi anni. Ecco perché il referendum della Cgil, ignorato dai mezzi di comunicazione,
può aiutare a rimettere le cose a posto
di Umberto Franciosi
caporalato delle false cooperative venuto alla luce nelle cronache di questi giorni nei campi e negli
allevamenti romagnoli è anche figlio della
deregolamentazione introdotta in questi ultimi anni nel
settore degli appalti: dai continui interventi legislativi sulla
responsabilità solidale dei committenti (di fatto eliminata),
fino alla completa depenalizzazione del reato di
somministrazione illegale di manodopera (decreto legislativo
n.8/2016) e all’abrogazione del reato di somministrazione
fraudolenta di manodopera introdotta con il Jobs Act. Ci sono
precise responsabilità politiche dei governi, prima fra tutte
del governo Renzi e del suo ministro del Lavoro Giuliano
Poletti, ma anche delle imprese committenti (comprese quelle
agricole) che – attraverso discutibili appalti – si affidano a
imprese appaltatrici che offrono i loro servizi a prezzi
stracciati, spesso con risparmi sul costo del lavoro che vanno
oltre il 40%.
Oltre allo sfruttamento del lavoro, in alcuni casi paragonabile alla schiavitù, c’è un’enorme evasione
fiscale e d’Iva che le innumerevoli indagini della Guardia di finanza hanno portato alla luce: consorzi,
cooperative o Srl, con a capo semplici prestanome spesso stranieri con un curriculum imprenditoriale
lungo svariate pagine, fatturano all’impresa committente i loro servizi; l’impresa committente “scarica”
l’Iva, l’impresa appaltatrice (Srl o falsa cooperativa) scompare dopo qualche annetto senza versare le
imposte dovute compresa l’Iva che, nel frattempo, il committente ha incassato dallo Stato. Ecco il
colossale affare che si nasconde dietro certi appalti.
I caporali catturati, probabilmente, non pagheranno, perché non hanno nulla che possa essere aggredito a
livello patrimoniale. Mentre i committenti – anche grazie alle recenti modifiche legislative –
continueranno a dormire sonni tranquilli, cercheranno sulla piazza altre imprese appaltatrici a “buon
mercato” e continueranno a creare concorrenza sleale, mettendo in pericolo l’esistenza delle imprese
concorrenti che vogliono rispettare leggi e contratti. I caporali scoperti nell’inchiesta romagnola sono
semplici pedine di un sistema di veri e propri “cooperatifici” che stanno infestando tutte le zone d’Italia:
Modena, Milano, Roma, Cremona, Mantova, Verona, e via discorrendo. Non c’è nessun settore che si
possa ritenere escluso: dai campi alla logistica, passando dagli ospedali per finire nei macelli; da oltre
sedici anni la Flai Cgil dell’Emilia Romagna sta denunciando a tutte le istituzioni quanto avviene nella
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Cgil: per i lavoratori disabili
voucher “di consolazione”
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La seconda vita del Capitale di Marx
L’opera del filosofo tedesco compie 150 anni. Ma è ancora attuale. E può essere ripulita dal male che le
ha fatto il totalitarismo comunista. Rimettendo al centro le relazioni tra esseri umani.
di Annalisa Terranova
Nel 1993 era stato Jacques Derrida a domandarsi quanto e in che modo l’Occidente, nonostante la caduta
del Muro, avesse ancora a che fare con gli spettri di Marx. Poi, sulle ceneri del comunismo, le analisi di
Marx hanno conosciuto nuova vita e vigore, apparendo come le uniche in grado di esplicitare i
meccanismi della globalizzazione. La grande crisi ha alimentato e nutrito la Marx Renaissance,
obbligando storici ed economisti a ripensare il capitalismo come problema.
UN LIBRO DA LEGGERE SENZA DOGMI. Una riflessione impossibile senza Marx, tanto più in
questo 2017 che coincide con il 150esimo anniversario dell’apparizione de Il Capitale. Il primo volume
dell’opera fu pubblicato in tedesco nel 1867. Seguirono, rispettivamente nel 1872 e nel 1875, la seconda
edizione in tedesco e la traduzione in francese. Gli altri due volumi furono pubblicati postumi da Engels
nel 1885 e nel 1894. Un libro imprescindibile, difficile, uno dei più strumentalizzati, che ha impegnato
schiere di esegeti e per leggere il quale occorre liberarsi da ogni sorta di «sonno dogmatico», anche quello
derivante dalla militanza marxista. Questo, almeno, è il suggerimento di Bruno Pinchard nel suo Marx a
rovescio (Mimesis) appena arrivato nelle librerie italiane.
TRA LE PAGINE C’È LA MUSICA DI WAGNER. Ma con quale approccio ci si può accostare a Marx?
Egli è certamente il «seduttore dei giorni di crisi»: è il primo stadio che ci conduce a vedere nel Capitale
il libro che denuncia i vizi del sistema che sentiamo come ostile o oppressore. Ma c’è anche il Marx
incardinato nella storia del pensiero filosofico occidentale. Non un filosofo che rompe con chi lo ha
preceduto, ma un pensatore che integra e trasforma le filosofie anteriori al Capitale. Marx è aristotelico
per quanto concerne l’idea di praxis, è colui che più di altri sfida e supera Hegel, è anche colui che
riprende da Vico l’imperativo di guardare al vero come fatto storico e non come fatto contemplativo. Ma
Pinchard unisce a queste altre interessanti suggestioni: «Non si potrebbe adeguatamente leggere Il
Capitale», scrive infatti «senza sentire la musica che vi risuona. Il Capitale porta in sé la musica della
Tetralogia di Wagner. Entrambe le opere sono imparentate da un comune legame con l’oro . Marx e
Wagner propongono entrambi una meditazione sull’oro e la modernità».
E LA LETTERATURA SOCIALE DI BALZAC. Ancora, in Marx troviamo la letteratura sociale di
Balzac e infine, «in relazione all’oro e alla moneta, al feticismo della merce e all’impersonalità del
capitale, Marx ritrova quelle prospettive eredi delle forme simboliche che guidano Shakespeare o
Rabelais quando si tratta dell’oro». Ecco allora che «tutte le sfere della fantasmagoria dell’Occidente sono
coinvolte in una lettura matura di Marx». Persino i grandi del Rinascimento affiorano tra quelle pagine:
«Seguendo l’esempio di Leonardo da Vinci che dipinge vortici e disegna rocce per trovare la legge del
mondo, Marx predice la morfologia degli scambi sociali nella vita della materia».
Se ci fermassimo a questo, resteremmo in ogni caso lontani dalla comprensione della forza rivoluzionaria
di un’opera come Il Capitale. Ciò che la caratterizza, infatti, è la sua capacità di pensare il capitale come
struttura totale, come sostanza che non ha altra causa e altro fine al di fuori di se stessa e che per queste
sue peculiarità appare come il nuovo Dio dell’Occidente, al punto che Pinchard può parlare del libro
come di un libro teologico e mitologico – oltre la dimensione della scienza economica – che per
importanza sostituisce la Bibbia, che diviene di fatto la Bibbia del proletariato, e che non è privo di
un’atmosfera mistica nel momento in cui Marx ci fa balenare dinanzi la prospettiva della catastrofe.
UN LIBRO CHE TAGLIA CORTO CON LE RELIGIONI. «Il Capitale», scrive, «scommette sul nulla di
Dio e sta qui la sua importanza: si tratta di una tesi negativa di filosofia della religione, ma una tesi che
taglia corto con le religioni. Ecco perché rappresenta una chance per il pensiero. Ma questa chance
comporta il suo proprio turbamento: Il Capitale 1) racconta una storia unificata; 2) sostiene che vi si rivela
un senso; 3) garantisce l’universalità e la necessità del pensiero che si volge a rifletterlo. Di conseguenza,
è Dio. Senza dubbio, non è il Dio della fede, ma il vero dio dei filosofi che non limitano il loro sapere alla
propria fede. L’attrazione di un tale sapere non è gratuita: esso promette un potere più forte di quello delle
religioni, che comprende e risolve. Esso rischia di barattare un fondamentalismo per un altro, quello che
fa rimare il capitale e la causa. È il motivo per cui Il Capitale diviene il Libro e la sua incompiutezza ne
aumenta il fascino: si attende la fine». Fin qui arriva Pinchard, il quale confessa di voler seminare
elementi di una «poetica di Marx» perché, se il filosofo è morto, «scocca l’ora del suo poema».
MARX DÀ UN SENSO ALLE RELEZIONI TRA GLI UOMINI. Di Marx come autore indispensabile
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