Da Infolampo: migranti – reddito
Spi Cgil e Ugtt (Tunisia) firmano in Sicilia un appello per
i diritti dei migranti del Mediterraneo
Lo Spi Cgil e il sindacato dei pensionati della confederazione tunisina Ugtt hanno hanno firmato oggi a
Noto, in provincia di Siracusa, un appello ai Governi nazionali e a tutta l’UE perché prevalga la
solidarietà e l’obbligo morale di aiutare e trattare i profughi in modo umano e dignitoso, nella sicurezza
e nella legalità, anche attraverso regole che garantiscano una loro equa distribuzione tra tutti gli stati
membri dell’Unione Europea.
Un appello reso ancor più significativo dal luogo in cui è stato firmato, la Sicilia, terra di libertà e di
scambi, dove da sempre si incontrano popoli e
culture diverse; ma anche luogo di sbarchi e di
accoglienza.
È il terzo appello che lo Spi lancia insieme ai
sindacati dei pensionati di altri paesi, con l’intento di
sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sul
delicato tema dei migranti. Il primo è stato firmato al
confine tra Italia e Austria nel luglio scorso, il
secondo a Ventimiglia a dicembre.
Ora è la volta del Mediterraneo. È qui che chiediamo
a gran voce ai Governi di ratificare la Convenzione
internazionale per la protezione dei diritti di tutti i
lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie e
le convenzioni dell’Oil sui diritti dei migranti.
Con l’appello chiediamo anche la costruzione di un
forte legame tra i lavoratori e le lavoratrici, i
pensionati e le pensionate della Tunisia e dell’Italia e
per la cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo nella
continuità degli ideali di pace, giustizia, eguaglianza
sociale e convivenza civile.
Ciò è tanto più importante oggi di fronte all’ondata di persone che fuggono dalla guerra e da condizioni di
vita miserabili, alle quali l’Europa non può rispondere con i respingimenti in mare e con i reticolati di filo
spinato tra gli stati europei, che contribuiscono all’inaccettabile perdita quotidiana di vittime annegate nel
Mediterraneo, ma con la riaffermazione dei diritti indivisibili della persona, a prescindere dalla religione e
dalla cultura di appartenenza o dal paese di provenienza.
L’appello è stato firmato nella mattinata a Noto presso Palazzo Nicolaci alla presenza del segretario
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#NonSmobilitiamo,
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Un reddito da disuguale cittadinanza?
Sul reddito di cittadinanza e sul reddito minimo regna sovrana la confusione associata a una spessa
coltre di false credenze.
di Maurizio Franzini e Elena Granaglia
Prendiamo come esempio di confusione quello che si dice della proposta del Movimento Cinque Stelle. In
base ad essa, tutti coloro che vivono in nuclei familiari con risorse economiche inferiori alla soglia di
povertà relativa e che si dimostrano disponibili a lavorare dovrebbero godere di un trasferimento
monetario. Praticamente tutti dicono che il Movimento Cinque Stelle propone di introdurre un reddito di
cittadinanza, ma in realtà si tratta di un reddito minimo o, meglio, di un reddito di inclusione. Infatti, il
reddito di cittadinanza è un trasferimento erogato, in base a motivazioni di cui diremo tra breve, a tutti
coloro che sono parte di una società – nella loro qualità di cittadini, appunto – e non dipende dalla loro
condizione economica. Il reddito minimo, invece, è destinato a chi si trova in povertà e, a differenza del
reddito di cittadinanza, al beneficiario è tipicamente richiesta una disponibilità a lavorare. Per questo suo
aspetto può essere chiamato anche reddito di inserimento. Dunque, malgrado l’insistenza su pretese
irriducibili differenze, la proposta dei Cinque Stelle ha le stesse caratteristiche di fondo del Reddito di
Inclusione, appena varato dal Parlamento.
Per una piccola esplorazione delle false credenze può essere sufficiente menzionare uno degli argomenti
più di frequente utilizzati per opporsi all’introduzione di un reddito minimo nel nostro paese che, come è
noto, non dispone un reddito minimo universale, rivolto al complesso dei poveri (il Reddito di Inclusione
appena citato ha questa finalità solo sulla carta; nella realtà, rimane categoriale, essendo limitato alle
famiglie con figli). L’argomento è che la povertà, sia, in fondo, sempre riconducibile, almeno in parte,
alla responsabilità individuale e che, anche per questo, l’erogazione di un reddito minimo finirà per
intrappolare i poveri nella dipendenza. Per convincersi che si tratta di una credenza falsa basta uno
sguardo disincantato al mondo e alle mille opportunità che non ci sono e per sfuggire alle sue
implicazioni è sufficiente osservare che essa porta a negare a tutti i poveri il diritto a una esistenza
dignitosa.
Quanto al reddito di cittadinanza, sul quale ci soffermeremo d’ora in poi, una falsa credenza è quella
secondo cui il esso avrebbe il gravissimo difetto di dare allo stesso modo ai ricchi e ai poveri; dunque,
sarebbe iniquo e avrebbe effetti redistributivi nulli. Qui si dimentica che il reddito di cittadinanza deve
essere finanziato e che il peso del suo finanziamento ricade interamente sui più ricchi, con la conseguenza
che per essi l’introduzione di quel reddito si risolverebbe in una perdita netta. Se si chiedesse perché i
ricchi devono pagare (molto) e prendere (poco) anziché pagare direttamente la differenza netta, una
risposta – non l’unica – sarebbe che il doppio movimento permette di rendere visibili due principi
essenziali: i) che tutti i cittadini, anche i ricchi, hanno diritto – in quanto tali – a un reddito (e tra poco,
riflettendo sulle ragioni del reddito di cittadinanza questo punto diventerà più chiaro); ii) che i più ricchi
devono rendere possibile l’erogazione universale del reddito di cittadinanza.
E’ una falsa credenza anche che il reddito di cittadinanza finirà per legittimare e universalizzare il
parassitismo e per negare l’opportunità fondamentale del lavoro. Per dubitare di queste credenze basta
riflettere su quanti lavorano pur avendo un reddito familiare su cui contare. In realtà, disponendo di un
reddito, molti potrebbero sentirsi inclusi nella cittadinanza e stimolati a cooperare anche attraverso
l’impegno di lavoro.
Di false credenze ce ne sono molte altre. Non potendo esaminarle tutte, rimandiamo al recente libro di E.
Granaglia e M. Bolzoni (Il reddito di base, Roma, 2016) che fornisce anche un quadro delle diverse
possibili configurazioni del reddito minimo e del reddito di cittadinanza.
Vogliamo, invece, soffermarci sui possibili fondamenti di un reddito di cittadinanza. Per orientarsi a
individuarli è utile riflettere sul fatto che non tutti beneficiano dei rendimenti che derivano da risorse
comuni e che spesso vi sono vantaggi che non sono il frutto dello sforzo individuale. Il primo esempio è
quello della terra e di altre risorse naturali; ci sono poi i beni ricevuti in eredità, almeno per la dimensione
relativa al beneficio per gli eredi e i vantaggi dovuti al caso che accompagna il gioco della domanda e
dell’offerta; c’è anche il mancato riconoscimento che il prodotto marginale dipende da come è
organizzato il lavoro di squadra, dalle dimensioni dell’impresa, dalle dotazioni di investimenti e di
infrastrutture, tutti fattori non riconducibili all’impegno di chi si appropria di quel prodotto.
Tali risorse andrebbero ripartite fra tutti; infatti, l’appropriazione di alcuni a danno di altri rappresenta una
vera e propria espropriazione. Il loro valore, peraltro, dipende da molte circostanze, ma in linea di
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