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Da Infolampo: cafday – gig-economy

cafday#CafDay, porte aperte ai cittadini

Prima giornata on-line dei Centri di assistenza fiscale, coinvolti 10 mila uffici e 20 mila dipendenti.

Prevista la diretta streaming, attraverso il nuovo portale della Consulta nazionale, per favorire l’incontro

tra operatori e utenti

I Caf di tutte le associazioni di rappresentanza economica, sindacale, del mondo cattolico e delle

professioni che compongono la Consulta nazionale dei Caf lanciano per oggi (mercoledì 10 maggio) il

primo #CAFDAY, una giornata che coinvolge tutti i Centri di assistenza fiscale italiani attraverso un

evento digitale. Più di 10 mila uffici territoriali, oltre 20 mila

dipendenti e collaboratori saranno impegnati in tutte le città

italiane a promuovere l’iniziativa. Appuntamento per tutti al

#CAFDAY su www.consultacaf.it e su

www.facebook.com/consultacaf dalle ore 10.

“Potrebbe diventare un appuntamento annuale di tutto il

nostro mondo” spiegano i due coordinatori della Consulta,

Massimo Bagnoli e Mauro Soldini: “Un momento di

confronto e di relazione tra tutti gli operatori, oltre che una

vetrina verso i milioni di cittadini italiani che ci conoscono.

Un’iniziativa interamente sostenuta con gli strumenti del

web, con un valore aggiunto dato dalla grande umanità che si

respira in ogni Caf. I nostri dipendenti e collaboratori, che

della sensibilità hanno fatto un tesoro professionale, sono

orgogliosi di contribuire alla prima loro grande

manifestazione pubblica”.

A questo progetto la Consulta nazionale è arrivata dopo una

ricerca sul lessico e i media migliori per parlare agli italiani. “Immaginavamo che equità e legalità fossero

termini che potessero avvicinare positivamente il cittadino italiano ai temi fiscali” continuano Massimo

Bagnoli e Mauro Soldini: “Ci siamo trovati, invece, attraverso un focus di ricerca commissionato

all’Osscom dell’Università Cattolica di Milano, di fronte a un esito diverso: nel lessico quotidiano la

parola più apprezzata e usata dagli italiani è Caf. L’esito dell’analisi per noi è stato molto importante e

rivelatore del grande rapporto che i cittadini hanno con i Centri di assistenza fiscale. E il significato di

questa parola oramai comprende competenza, assistenza e tutela”. Entrare nella terminologia corrente,

dunque, è un ulteriore segno del valore assunto nel tempo dai Caf, dopo oltre 20 anni dalla nascita, con

l’attività che i Centri quotidianamente svolgono per gli Italiani e per lo Stato.

Il tema conduttore del primo #CAFDAY è proprio il Caf stesso, evidenziando l’importanza del

radicamento sociale che ha originato un particolare rapporto di fiducia con i cittadini. Prevista la diretta

streaming, attraverso il nuovo portale della Consulta (www.consultacaf.it), durante la quale sia gli

operatori sia gli utenti dei Centri potranno interagire con domande su temi fiscali. Gli esperti in studio

Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/cafday-porte-aperte-ai-cittadini

Il nostro impegno nella settimana

mondiale della sicurezza stradale

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La gig-economy e il “nuovo” lavoro occasionale

Negli ultimi anni si è molto parlato della sharing economy. Sul fronte del lavoro, però, il dibattito ha

registrato una certa confusione, alimentata da diversi luoghi comuni, di effetto ma fuorvianti. Nel nostro

Paese, in particolare, si tende a confondere la sharing economy, intesa come ”economia della

condivisione” (in cui le persone condividono propri beni sotto-utilizzati con altre persone in una specie

di scambio “alla pari” – ad esempio quando si condivono i costi di un viaggio in macchina) con realtà

del tutto diverse.

di Valerio De Stefano e Janine Berg

In particolare, si tende ad utilizzare questo termine per riferirsi a ciò che altrove viene ormai definito

come gig-economy, cioè “economia dei lavoretti”. Si tratta di un concetto totalmente diverso dalla

sharing economy: l’unico elemento in comune è spesso l’utilizzo di piattaforme tecnologiche per mettere

in contatto gli utenti. Nella gig-economy, tuttavia, quella dove operano realtà come Uber, TaskRabbit,

Foodora o Deliveroo, non c’è alcuno scambio “alla pari”: queste società offrono dei servizi ai

consumatori attraverso una rete di lavoratori che viene coordinata anche tramite sistemi informatici. Altre

volte, invece, i clienti “postano” dei lavori (come ad esempio la trascrizione di audio o il riconoscimento

di emozioni in un testo scritto) che possono essere eseguiti interamente online da altre persone, connesse

da ogni parte del mondo a piattaforme come l’Amazon Mechanical Turk o Clickworker.

Nonostante sembrerebbe naturale applicare le protezioni a tutela dei lavoratori anche a chi è occupato

nella gig-economy, c’è molto dibattito – e confusione – su questo aspetto. A parte la mancanza di

chiarezza, che nasce dalla novità del lavoro scambiato su piattaforma, è evidente lo sforzo di nascondere

il lavoro dietro parole come ‘favori’, ‘corse’ e ‘compiti’ e di classificare i lavoratori come freelancers

indipendenti.

Rappresentare questo tipo di lavoro come una semplice “condivisione dei favori” trasmette l’immagine

della gig-economy come una realtà parallela, nella quale compiti faticosi sono svolti in maniera

amatoriale, quasi si trattasse di hobby, senza niente in comune con il lavoro. La realtà, però, è diversa. Per

la maggior parte dei lavoratori, i lavori ottenuti attraverso una o più piattaforme costituisce la fonte

principale del proprio reddito. Secondo una recente indagine, condotta dall’ILO su due delle più

importanti piattaforme per lo scambio di micro-lavori il 40% di chi ha risposto indicava, nel lavoro

trovato sulla piattaforma, la fonte principale del proprio reddito, con un impegno medio di 30 ore

settimanali (J. Berg, ‘Income security in the on-demand economy: findings and policy lessons from a

survey of crowdworkers, ILO Conditions of Work and Employment Series, Working Paper No. 74,

2016).

Un’altra impressione comune è che queste persone siano immancabilmente dei lavoratori autonomi,

indipendenti dalle piattaforme e dai clienti che le utilizzano. Per essere più precisi, molta della retorica

della gig-economy ruota intorno all’idea che i lavoratori siano i “capi di sé stessi” – una nuova

generazione di microimprenditori liberi di lavorare quando e come vogliono, e di far crescere il loro

volume d’affari senza rispondere a nessuno. Tuttavia, mentre esistono alcune piattaforme che servono

come luoghi di incontro per acquirenti e prestatori di servizi, nel caso delle piattaforme che offrono

“prestazioni di lavoro”, raramente il lavoratore è libero di operare in maniera indipendente. Le

piattaforme svolgono un rilevante ruolo di coordinamento della prestazione dei lavoratori e dei loro

rapporticon i clienti.

Le piattaforme fissano spesso il prezzo della prestazione e definiscono le caratteristiche del servizio, o

permettono ai clienti di farlo unilateralmente. Esse possono definire i tempi o i dettagli del lavoro,

compresa la possibilità di istruire i lavoratori a indossare un’uniforme, a utilizzare strumenti specifici, o a

trattare i clienti in un modo particolare. Molte piattaforme sono dotate di sistemi di controllo della

performance che permettono ai clienti di esprimere una voto sui singoli lavoratori e alle piattaforme stesse

di limitare la possibilità per i lavoratori di vedersi assegnare determinati compiti, fino alla loro totale

esclusione dal sistema. L’intensità della direzione e del coordinamento a cui i clienti e le piattaforme

sottopongono i lavoratori raggiunge in molti casi il livello di controllo normalmente riservato agli ordinari

datori di lavoro, che devono però rispettare forme di protezione come minimi retributivi, limiti all’orario

di lavoro, e alti costi di previdenza sociale (V. De Stefano, ‘The rise of the just-in-time workforce: on-
demand work, crowdwork and labour protection in the “gig-economy”’, ILO Conditions of Work and

Leggi tutto: http://www.eticaeconomia.it/la-gig-economy-e-il-nuovo-lavoro-occasionale/