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Infolampo: Ceta – costi

21-gennaio-mobilitati-anche-tu-contro-il-cetaIl Ceta tutela le grandi multinazionali, non le nostre

eccellenze

Presidio a Roma, in piazza Montecitorio, per protestare contro l’accelerazione del Parlamento in vista

della ratifica dell’accordo economico e commerciale tra Ue e Canada. Durante (Cgil): “Può avere un

effetto devastante sui prodotti e sul lavoro italiani

di Marco Togna

Martedì 27 giugno la commissione Esteri del Senato ha dato il primo via libera al disegno di legge che

ratifica il Comprehensive economic and trade agreement

(Ceta), l’accordo economico e commerciale tra Unione

europea e Canada. Il Ceta, già approvato

dall’Europarlamento, deve ottenere l’ok anche dai singoli

parlamenti degli Stati della Ue. Il ddl ora passerà all’esame

dell’aula. Il trattato è fortemente contestato dalla Cgil e da

numerose altre associazioni, che hanno organizzato per

oggi (mercoledì 5 luglio) un presidio a Roma, con

appuntamento alle ore 9.30 in piazza Montecitorio. Ne

abbiamo parlato con Fausto Durante, responsabile delle

Politiche internazionali ed europee della Cgil nazionale.

Rassegna Il Ceta deve essere ratificato da ogni singolo

Stato. Come si ste comportando l’Italia?

Durante Il nostro Parlamento, unico tra i parlamenti dei

grandi paesi dell’Unione europea, sta accelerando la sua

decisione sul trattato. Un’accelerazione davvero

incomprensibile, soprattutto incurante delle osservazioni

contrarie alla ratifica fatte nei giorni scorsi in sede di audizione. Il percorso di ratifica andava

accompagnato da una consultazione approfondita, dall’ascolto non superficiale delle parti sociali, delle

organizzazioni della società civile e dei portatori d’interessi. Con il presidio odierno chiediamo al

Parlamento di mettere in piedi un processo partecipativo non frettoloso né immediato.

Rassegna Il trattato suscita da più parti grande opposizione. Qual è la prima preoccupazione della Cgil?

Durante Il Ceta può avere un impatto devastante sulla filiera italiana dell’agroindustria, del cibo di

qualità, delle nostre eccellenze alimentari e dei nostri prodotti tipici. Il trattato abbatte le barriere tariffarie

e non, deregolamenta i disciplinari di produzione e gli standard di sicurezza e di precauzione, consente

l’uso di prodotti proibiti in Europa ma permessi oltreoceano, come ogm, antibiotici, ormoni della crescita,

glifosato. Tutto questo potrebbe provocare enormi problemi riguardo la salubrità, la qualità e la sicurezza

delle produzioni alimentari.

Rassegna Un’altra osservazione ricorrente è che il Ceta potrebbe favorire la contraffazione delle

Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/il-ceta-tutela-le-multinazionali-non-le-nostre-eccellenze

Pensioni: incontro interlocutorio,

chiediamo risposte concrete

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www.radioarticolo1.it

I costi dei tagli

La spesa dello Stato continua a salire ma ci si vanta dei 30 miliardi risparmiati riducendo il personale.

Ma quanto è pesato in termini di crescita economica il furore anti-impiego pubblico, con il doppio stop

alle assunzioni e agli aumenti contrattuali?

di Bianca Di Giovanni

“Non mollare la presa”. Questo è stato l’invito lanciato da Yoram Gutgeld all’attuale e al futuro governo,

in occasione della presentazione della Relazione sulla Spending Review alla Camera dei deputati. In

effetti dai numeri circolati la presa somiglia a un cappio a doppia mandata: quasi 30 miliardi di minori

spese solo nel 2017. Con una progressione che arriverà a quota 31 miliardi e mezzo l’anno prossimo.

Cifre che hanno provocato l’immediata reazione di Pier Carlo Padoan contro i mass media. “Mi auguro

che non si legga più che la spending review non è stata fatta o è stata fatta male”, ha detto il ministro. E

anche qualche stoccatina ai politici (ovvero i non tecnici come lui): “Si crea uno spazio fiscale

importante, poi starà ai policymaker usarlo in modo efficiente e efficace”. Come dire: non è colpa mia se

alla fine, taglia di qua e sforbicia di là, la spesa pubblica continua a salire per via della miriade di bonus

che si vogliono finanziare. Un “non detto” che è stato esplicitato qualche giorno dopo dalla Corte dei

Conti. Per i giudici contabili, infatti, le misure non hanno prodotto una riduzione complessiva dei livelli

di spesa.

Ma torniamo ai 30 miliardi risparmiati. L’Italia è diventata virtuosa, dunque? Quei 30 miliardi sono

davvero il risultato di una analisi che ha individuato sprechi inutili? Somme che prima venivano

sperperate e oggi potrebbero essere saggiamente accantonate, se non ci fosse la voglia di bonus in giro? A

guardar bene le cose non stanno esattamente così.

Al netto dell’operazione Consip, cioè l’accentramento degli acquisti di beni e servizi, il dato saliente della

spending review è stata la riduzione del personale pubblico attraverso il blocco del turn over. Un taglio

che in alcuni ministeri ha significato il 7% in meno del personale. Quegli stessi ministeri che saranno

chiamati a un ulteriore risparmio di spesa da un miliardo di euro l’anno prossimo, secondo quanto ha

stabilito l’ultimo Def. Complessivamente nel triennio 2013-2016 sono state eliminate 84mila unità. Quasi

30mila opportunità di lavoro in meno all’anno: oltre 2mila al mese. Meno personale significa spesso uffici

sguarniti. In uno Stato che si affanna a rincorrere le richieste di cittadini e imprese, con procedure spesso

complesse e farraginose, cancellare i dipendenti spesso significa creare ulteriori strozzature, certamente

poco vantaggiose per il sistema-Italia. Ma il punto dolente è un altro: immaginiamo cosa significa

davvero chiudere o ridurre drasticamente un canale di accesso al lavoro come quello pubblico. Una volta

o l’altra si dovrà pur calcolare quanto è costato, in termini di crescita economica, questo furore anti-
impiego pubblico, che ha assunto il doppio volto dello stop agli ingressi e lo stop agli aumenti

contrattuali. Il binomio meno spesa-meno tasse, si è tradotto a volte in meno lavoro- stesse tasse.

Circa la metà dei tagli di spesa contabilizzati per quest’anno derivano dalle disposizioni della finanziaria

per il 2015, la prima dell’era Renzi, quella, per intenderci, che ha dovuto reperire circa 10 miliardi per

finanziare il bonus da 80 euro per i dipendenti a basso reddito. Un primo segnale di redistribuzione del

reddito, anche se limitato a una fascia molto ristretta di lavoratori, che escludeva gli incapienti. Sul fronte

dei risparmi, è quella legge ha chiesto pesanti sacrifici agli enti locali, con circa 8 miliardi di minori spese

per Regioni, Province e Comuni. Sappiamo che quando diciamo Regioni intendiamo Sanità, quando

indichiamo Comuni intendiamo assistenza e asili nido, quando diciamo Province oggi entriamo in una

fitta nebulosa. Proprio quella legge di Stabilità, infatti, è anche quella che ha avviato la “rivoluzione delle

Province”, cancellandone sulla carta compiti, funzioni e relativi finanziamenti e trasferendone il personale

ad altri incarichi. Pianta organica tagliata per 20mila unità, personale messo in mobilità con stipendio

ridotto, poderosi “buchi” nelle finzioni degli enti locali. Ebbene, quell’operazione si è tradotta alla fine in

un risparmio di qualche centinaio di milioni (ne valeva davvero la pena?), mentre il Paese reale ancora

cerca un difficile equilibrio tra amministrazione Regionale e comunale. Tutto in nome di una austerità,

che un giorno si invoca e il giorno dopo si attacca.

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