Infolampo: Welfare – mondo
Welfare state e occupazionale: incastri virtuosi
Negli ultimi anni sono cresciuti nuovi sentieri di sviluppo istituzionale e di policy, favorendo un
irrobustimento delle sfere del mercato e delle associazioni intermedie nel campo della protezione sociale.
Ne parla l’ultimo numero di Rps (il 2 del 2017)
di Stefano Cecconi
La Rivista delle Politiche Sociali dedica la sezione monografica (il Tema) del suo ultimo numero (il 2 del
2017) all’analisi degli incastri, più o meno virtuosi, tra welfare occupazionale (cioè rivolto ai lavoratori) e
welfare pubblico. Con una comparazione della letteratura
esistente, la sezione fornisce, oltre a una
definizione/descrizione del welfare occupazionale, una
griglia per analizzare le principali sfide che emergono
dall’espansione dello stesso, nel quadro della più complessa
trasformazione del welfare italiano.
Come acutamente segnala il curatore del numero Matteo
Jessoula nella sua introduzione: “Il welfare italiano ha
tradizionalmente mostrato un’accentuazione del ruolo svolto
da due sfere istituzionali: lo Stato e la famiglia. Al contrario,
il mercato (assicurazioni private) e i corpi intermedi (tra cui i
sindacati) hanno giocato un ruolo marginale nel fornire
protezione contro i diversi rischi e bisogni sociali”. Negli
ultimi anni sono però cresciuti decisamente “nuovi sentieri di
sviluppo istituzionale e di policy, favorendo un
irrobustimento delle sfere del mercato e delle associazioni intermedie nel campo della protezione
sociale”.
Emerge così con chiarezza che, accanto alle promesse, vi sono rischi e criticità del welfare occupazionale,
in specie di quello di origine contrattuale. Sempre nella sezione monografica vengono analizzati i
possibili “incastri” (e le incompatibilità) tra le forme di welfare pubblico e i nuovi schemi di welfare
occupazionale, in primo luogo la questione degli esclusi: inoccupati, precari o pensionati. Sul tema, oltre
al curatore del numero, intervengono, rappresentando diversi sguardi e punti di vista, numerosi autori,
nell’ordine: Marco Leonardi, Elena Granaglia, Giulia Mallone e Tiziana Tafaro, Michele Raitano, Marco
Arlotti con Ugo Ascoli e Emmanele Pavolini, Camilla Gaiaschi, Federico Razetti, Sabrina Colombo,
Martin Seeleib-Kaiser, Franco Martini.
Il Tema si articola idealmente in tre parti. Nella prima sono “le Regole” a essere approfondite, in specie le
novità introdotte dalle Leggi di stabilità 2016 e 2017. Nella seconda parte si trattano “le Politiche”, cioè i
programmi e le misure di welfare occupazionale nei diversi settori di politica sociale (pensioni, sanità,
conciliazione), con uno sguardo all’esperienza della bilateralità. L’ultima parte riguarda i principali
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L’uomo che salvò il mondo
Dicono che il mondo non sia mai stato così vicino alla distruzione come quel giorno. Era il 26 settembre
1983 e il presidente Ronald Reagan stava facendo un’arringa contro i comunisti all’Onu, la Francia
continuava a porre il veto all’ingresso della Spagna in Europa, i dittatori argentini si concedevano
un’autoamnistia e Simon & Garfunkel si separavano per sempre. Quel giorno, in Spagna un centro
commerciale stava per essere inaugurato a La Vaguada e si temevano attacchi terroristici; la nuova
legge sull’istruzione voluta dai socialisti, che diminuiva il peso della religione nelle scuole, era al centro
degli attacchi dei vescovi e dei membri dell’Alianza popular.
di Martín Caparrós, El País, Spagna
Quel giorno, Stanislav Petrov aveva quarantaquattro anni ed era un tenente colonnello dell’esercito
sovietico responsabile del centro di rilevamento di attacchi nucleari dell’Unione Sovietica. Da quel
bunker gestiva l’immensa rete di radar, satelliti, tecnici e analisti che cercavano di proteggere il loro
territorio dai missili atomici statunitensi. Alla mezzanotte di quel giorno, nel centro scattò l’allarme: i
computer avevano rilevato un missile in volo verso la Russia a 24mila chilometri all’ora. Petrov chiese
conferma; i computer insistevano, ma i satelliti non vedevano il missile. Petrov credette (erano altri
tempi) che le macchine e gli algoritmi potessero sbagliarsi. Decise di aspettare: nei cinque minuti
successivi scattarono altri quattro allarmi. Uno solo di quei missili aveva(ha) il doppio del potere
esplosivo di tutte le bombe della seconda guerra mondiale.
Dev’essere così strano sapere che se si prende la decisione sbagliata a pagare sarà l’umanità
Dev’essere così strano pensare di avere il destino del mondo nelle proprie mani. Se Petrov avesse seguito
il protocollo e avesse avvertito i suoi superiori, nel giro di pochi minuti centinaia di missili russi
sarebbero stati lanciati verso il territorio americano. In un’ora la guerra nucleare avrebbe ucciso decine di
milioni di persone. Petrov aspettò. I computer ratificavano i dati, ma non c’era una conferma visiva.
Dev’essere così strano sapere che se si prende la decisione sbagliata a pagare sarà l’umanità.
Stanislav Petrov era nato a Vladivostok nel 1939; non gli piaceva fare il soldato, ma per lui era stato
sempre un lavoro facile. Salvo in quel momento: non c’era spazio per i dubbi. Decise che l’allarme
doveva essere un errore: non era ragionevole che gli americani lanciassero solo cinque missili e non,
come tutti prevedevano, centinaia. Alcuni minuti dopo il radar confermò che non era in corso nessun
attacco.
Petrov aveva appena salvato il mondo. Il mondo non lo seppe, e tirò dritto come se niente fosse. I militari
russi mantennero il segreto: il loro sistema di difesa aveva dimostrato una falla troppo grossa per parlarne
apertamente, e per questo l’abbiamo saputo solo vent’anni dopo. Per una strana ragione venire a sapere di
queste cose non ci spinge a domandarci quante altre ne ignoriamo: a chiederci cosa succede oggi che
sapremo, forse, un giorno.
Le bombe sono ancora lì
Stanislav Petrov non durò molto di più nell’esercito. Sua moglie morì e lui chiese di andare in pensione.
È diventato un vecchio collerico, fumatore, noioso, chiuso in un piccolo appartamento nei dintorni di
Mosca, stufo del fatto che tutti vogliano parlare solo di quel quarto d’ora. Inoltre non sembra avere molto
più da raccontare oltre a quel quarto d’ora, quando la sua felicissima scelta fu non fare niente; quando
decise che l’inazione era la migliore azione possibile. Fu un caso che fosse lui il responsabile; forse
un’altra persona avrebbe seguito alla lettera il protocollo, forse il mondo non esisterebbe più. La sua vita è
quel quarto d’ora, ma quel quarto d’ora salvò il mondo: poche vite – così piene, così vuote – decisero
moltissimo.
Le bombe sono ancora lì: gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia, il Regno Unito, l’India, il Pakistan
e la Corea del Nord hanno migliaia di bombe in grado di distruggere tutto. Ma per qualche ragione
sembra che la cosa non ci preoccupi più. Eppure siamo, come sempre, in mano a un caso sconosciuto.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
Questo articolo è stato pubblicato sul magazine domenicale del quotidiano spagnolo El País il 31 agosto
2017. Il 9 settembre il quotidiano tedesco Westdeutsche Allgemeine Zeitung ha dato la notizia che
Stanislav Petrov era morto il 19 maggio 2017.
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