Infolampo, Lavoro – populismo
Battiamo populismo e protezionismo con i diritti del
lavoro
È arrivato il momento di rafforzare le tutele dei soggetti più deboli e di dare alle parti sociali il potere di
cui hanno bisogno per poter esercitare una contrattazione efficace. La disuguaglianza è in crescita in
molti Paesi
di Liz Helgesen e Robert Hansen Specchio Internazionale Articolo tratto dal “Social Europe Journal”
In un mondo economicamente integrato come mai prima, il bisogno di redistribuire la crescita in modo
più equo è enormemente aumentato. Il commercio internazionale ha aiutato a portare più benessere e
meno povertà, ma vediamo anche che la disuguaglianza è in crescita in molti Paesi, e anche tra Paesi e
regioni. Non aiuta a migliorare le cose Donald Trump, la cui soluzione per la disuguaglianza e la
mancanza di lavoro è il nazionalismo e il protezionismo. Non potrebbe essere più lontano dalla verità.
La strada per andare avanti è pavimentata di scelte politiche a livello nazionale e internazionale che
promuovono la redistribuzione della crescita economica, il dialogo sociale e più forti diritti dei lavoratori.
Di per sé, il libero commercio non è giusto, dovendo
essere adottato mediante scelte politiche giuste e sane. La
crescita economica deve essere redistribuita se tutti
debbono godere dei frutti del libero commercio.
Detto in parole semplici, quelle dell’economista americano
Jeffrey D. Sachs, il commercio aperto è largamente
positivo solo quando è combinato con politiche di bilancio
brillanti e giuste. Per rafforzare e completare la
redistribuzione a livello nazionale è necessario rafforzare,
a livello regionale e globale, lo status giuridico dei diritti
dei lavoratori. Un modo per farlo è attraverso gli accordi di
libero scambio.
Le filiere globali e i diritti dei lavoratori
I diritti dei lavoratori nelle filiere globali sono finiti sotto i
riflettori dopo il disastro del Rana Plaza, dove sono morti
più di 1.100 lavoratori in una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh. Il rischio del collasso dell’edificio
era noto, ma nessuno si era preso la responsabilità di intervenire. Ma il Rana Plaza non è un caso isolato.
Secondo un report dell’Ilo, il 48% dei lavoratori che fanno palloni da football in Cina e in Thailandia
lavorano più di 60 ore la settimana, il 25% lavora sette giorni a settimana, mentre le donne guadagnano
sistematicamente meno degli uomini.
L’elenco dei diritti deboli o inesistenti dei lavoratori a livello globale è lungo. L’accordo tra Usa,
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/battiamo-populismo-e-protezionismo-con-i-diritti-del-lavoro
Una scrittura per donne e uomini
Leggi su www.internazionale.it
www.voxeurop.eu/it
“I politici hanno gestito male il populismo di destra sin
dall’inizio”
Intervista a Jürgen Habermas
Secondo il filosofo filo-europeo tedesco, i partiti democratici europei dovrebbero smettere di trattare coi
piedi di piombo i populisti di destra e mostrarsi decisi sui propri valori.
di Wolfram Huke Blätter für deutsche und internationale Politik (Berlin)
Dopo il 1989, si parlava soltanto della “fine della storia” rappresentata dalla democrazia e dall’economia
di mercato, e oggi stiamo assistendo all’emergere di un nuovo fenomeno di leadership
autoritaria/populista, da Putin fino a Donald Trump passando per Erdoğan. Chiaramente, una nuova
“Internazionale autoritaria” sta raccogliendo sempre più successo nel decidere i temi politici. Il suo esatto
contemporaneo Ralf Dahrendorf aveva ragione nel prevedere un XXI secolo autoritario? Possiamo, anzi
dobbiamo parlare di cambio epocale?
Dopo la trasformazione del 1989-90, quando Francis Fukuyama si impadronì dello slogan di “post-storia”
come originariamente coniato nel contesto di un feroce genere di conservatismo, la sua reinterpretazione
espresse il miope trionfalismo delle élite occidentali che aderirono alla convinzione liberale della
predisposta armonia dell’economia di mercato e della democrazia. Entrambi gli elementi caratterizzano la
dinamica di modernizzazione sociale ma sono legati agli imperativi funzionali che si scontrano
ripetutamente. Il compromesso tra crescita capitalistica e quota della popolazione, accettato soltanto in
modo svogliato come socialmente giusto, nell’espansione delle economie altamente produttive può essere
raggiunto solamente da uno stato democratico degno di questo nome. Ma un equilibrio del genere, che
giustifica il nome di “democrazia capitalista”, costituiva, all’interno di una prospettiva storica, l’eccezione
piuttosto che la regola. Questo basta a rendere l’idea di un consolidamento globale del “sogno americano”
un’illusione.
Il nuovo disordine globale, rafforzato dall’incapacità di agire degli Stati Uniti e dell’Europa di fronte ai
crescenti conflitti globali, è profondamente inquietante e le catastrofi umanitarie in Siria e Sud Sudan ci
spaventano tanto quanto gli atti di terrorismo islamista. In ogni caso, non riesco a reperire nel
ragionamento che mi ha descritto una tendenza uniforme verso un nuovo autoritarismo, ma piuttosto una
varietà di cause strutturali e numerose coincidenze. Ciò che lega il tutto è il nazionalismo che ha
cominciato a diffondersi nel frattempo in Occidente. Anche prima di Putin e Erdoğan, la Russia e la
Turchia non erano affatto “democrazie senza difetti”. Se l’Occidente avesse perseguito una politica in
qualche modo più intelligente, si sarebbero potute impostare relazioni diverse con entrambi i paesi, e le
forze progressiste all’interno delle società occidentali si sarebbero rafforzate.
Non stiamo forse qui sopravvalutando le capacità dell’Occidente in modo retrospettivo?
Certamente, considerata la grande varietà dei suoi interessi divergenti, non sarebbe stato semplice per
“l’Occidente” scegliere il momento più opportuno per gestire razionalmente le aspirazioni geopolitiche di
un superpotenza russa declassata o le aspettative europee verso il suscettibile governo turco. Il caso
dell’egocentrico Trump, altamente significativo per tutto l’Occidente, è di diverso tipo. Con la sua
disastrosa campagna elettorale, ha portato al culmine un processo di polarizzazione che i Repubblicani
hanno diretto con freddo calcolo politico sin dagli anni Novanta e tutto ciò si sta inasprendo così tanto che
il “Grand Old Party”, che non dimentichiamo è stato il partito di Abraham Lincoln, ha completamente
perso il controllo su questo fenomeno. Questa mobilitazione di rancore ha dato sfogo al distacco sociale
di una superpotenza in declino politico ed economico.
Di conseguenza, ciò che avverto come problematico non è tanto il modello di un’Internazionale
autoritaria, come lei ipotizza, ma la distruzione della stabilità politica nei nostri paesi occidentali nel loro
insieme. Nel giudicare la volontà statunitense di sospendere il suo ruolo di potenza globale sempre pronta
a intervenire per ristabilire l’ordine, bisogna tenere sotto controllo lo scenario strutturale, che riguarda
l’Europa in maniera simile.
La globalizzazione economica che Washington ha introdotto negli anni Settanta con il suo programma
neoliberale ha comportato un relativo declino dell’Occidente, se misurato a livello globale con la Cina e
gli altri paesi emergenti del gruppo BRIC. Le nostre società, a livello nazionale, devono affrontare la
consapevolezza di questo declino globale, insieme all’esplosiva crescita, indotta dalla tecnologia, della
complessità della vita quotidiana. Le reazioni nazionaliste stanno guadagnando consensi in quelle realtà
Traduzione di Andrea Torsello
Leggi tutto: http://www.voxeurop.eu/it/2017/intervista-j-rgen-habermas-5121729