Infolampo: contrattazione – politicamentecorretto
Contratti e aumenti, all’alba l’accordo
Intesa tra Confindustria e sindacati su nuovo modello contrattuale e relazioni industriali. Firma ufficiale
il 9 marzo. Per il segretario generale Cgil Susanna Camusso, con il documento si dice “un netto no a
qualsiasi intervento legislativo sul salario”
Si apre una pagina del tutto nuova nei rapporti tra sindacati e imprese. È stato infatti raggiunto nelle prime
ore di oggi (mercoledì 28 febbraio) l’accordo sui “Contenuti e
indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione
collettiva”. L’intesa verrà firmata ufficialmente venerdì 9
marzo, nel pomeriggio, dal presidente di Confindustria
Vincenzo Boccia e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil
(Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo
Barbagallo), dopo l’approvazione degli organismi delle tre
organizzazioni sindacali. Per quanto riguardo la Cgil, il
documento verrà valutato dal direttivo nella giornata del 9
marzo.
“Il documento conclusivo, raggiunto questa notte tra Cgil,
Cisl, Uil e Confindustria, realizza un importante quadro di
certezze nelle relazioni sindacali in una stagione di grande
confusione ed evidenzia l’efficacia del ruolo di regolazione
economica e sociale svolto dalle parti sociali”. Così il
segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, commenta
l’intesa raggiunta sul nuovo modello contrattuale: “Importante è la consapevolezza della loro potestà
regolatoria rispetto ai parametri salariali e normativi inseriti nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Un
netto no a qualsiasi intervento legislativo sul salario”.
“Il documento rappresenta un punto avanzato di sintesi e indica non solo il quadro di regole in cui si
muoveranno sindacati e imprese, ma anche una visione di sviluppo economico e sociale e di possibili
positivi sviluppi a favore della coesione sociale e della competitività di sistema” continua Camusso,
indicando come “rilevanti anche la previsione condivisa sulla necessità di diffondere la contrattazione di
secondo livello con competenze sia salariali sia di organizzazione del lavoro; l’attenzione a una
formazione continua, che facendo leva sul sistema pubblico e sull’impresa diventi strumento di politiche
attive del lavoro e di competitività d’impresa; la comune convinzione della necessità di una difesa del
welfare pubblico e di un’estensione di un welfare contrattuale integrativo capace di meglio soddisfare i
bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie; l’impegno cogente a migliorare le condizioni di salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Ma nel documento ci sono altri due punti di grande interesse. Il primo è la “misurazione della
rappresentanza, anche delle imprese, che potrà eventualmente diventare norma di legge”, mentre il
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Come si vota alle elezioni
politiche
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Il politicamente corretto, le donne, i migranti,
l’eguaglianza, i diritti e altro ancora
Nel giallo svedese La porta chiusa di Anne Holt del 2006 (Einaudi 2009), uno dei personaggi, non a caso
il cattivo agente dei servizi segreti americani Warren Scifford, si lascia andare a p. 410 a una
affermazione un po’ imbarazzante: «Le donne, non le capisco. Sono irresistibili e incomprensibili». Al
che l’agente dei servizi svedesi, il bravo Yngvar Stubø, replica: «No – Secondo me le donne irresistibili
sono rarissime. E poi non è così difficile capirle […] Però per capirle dobbiamo considerarle come
esseri umani alla pari. – Touché, – disse Warren sorridendo. – Molto politicamente corretto.
Molto…scandinavo».
Scritto da: Francesca Rigotti
Politicamente corretto, sappiamo, è concetto e termine usato per descrivere linguaggi, misure e
provvedimenti intesi a evitare offese o svantaggi ai membri di determinati gruppi sociali minoritari o
svantaggiati. Negli anni ’80 e ’90 le misure della political correctness, col loro linguaggio eufemistico che
suggeriva di usare «non vedente» al posto di «cieco», o «gay» al posto di «frocio», furono spesso alla
base di conflitti tra liberali (in senso statunitense) e conservatori, e riemergono oggi anche in Europa in
relazione alle politiche nei confronti di migranti e donne e altre – direbbe un Berlusconi quasi aristotelico
– «categorie» (in riferimento a una famosa gaffe, politicamente scorrettissima, del 2006).
Ora, che alcune di queste misure rasentino il grottesco se non il ridicolo, è assodato. E’ recentissima
l’introduzione di una variazione politicamente corretta del finale della Carmen di Bizet, introdotta
nell’esecuzione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, in cui è Carmen a uccidere il suo aguzzino
proprio in nome del politicamente corretto (d’ora in poi p.c.), per non permettere sulla scena l’ennesimo
femminicidio. Devo dire che sentendo la notizia ho subito immaginato una variazione del Don Giovanni
in cui sia Masetto a chiedere a Zerlina di batterlo per le sue infedeltà, provandoci un certo gusto. Ma
siamo seri. Certo che ci troviamo di fronte a un eccesso grottesco di p. c., eppure eccessi del genere
potrebbero forse far riflettere su quanto l’opera lirica sia imbevuta di misoginia e disprezzo delle femmine
senza fede, mobili qual piume al vento, sempre pronte a mutare d’accento e di pensier a meno che non si
sottomettano alla Norma/norma che le vuole pronte a perdonare le scappatelle maschili mentre aspettano
levarsi fili di fumo. Senza per questo modificare finali o arie.
Da destra e da sinistra si levano dunque le condanne al p.c.; nel caso delle donne, e soprattutto da sinistra,
si giunge ad affermare che la polemica seguita al caso Weinstein con tutti i suoi rigurgiti stia spostando lo
sguardo dai veri pericoli e dai veri avversari, che è sono lo strapotere della finanza e del capitale
globalizzati e la conseguente diffusione di diseguaglianze sempre più estese e divaricate. Che è una
visione tutto sommato ristretta e economicista e decisamente debole: le politiche concentrate sui beni
economici e strutturali non possono né devono bypassare i diritti, il rispetto, la dignità, la parità, beni
altrettanto se non superiori ai primi. L’ha detto Rawls e ripetuto Amartya Sen e ne siamo tutti convinti.
Uno degli autori che di recente più si sono accaniti contro le misure e i provvedimenti del p. c. e del suo
figlio degenere, il multiculturalismo, è Jonathan Friedman, di cui l’editore Meltemi ha appena tradotto e
pubblicato – con scarsa cura editoriale – un poderoso testo degli anni ’90, finora inedito anche in inglese
(PC Worlds. Political Correctness and Rising Elites at the End of Hegemony, copyright dell’autore), dal
titolo Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime, tradotto in lingua italiana da Francesca
Nicola e Pietro Zanini e a cura dello stesso Zanini. Aggiornato con un breve poscritto, il libro esce ora
con la motivazione che i fenomeni descritti hanno retto alla prova dei tempi e anzi si sono estesi a molti
altri paesi oltre alla gelida e lontana Svezia. La tesi di Friedman, esposta in breve, suona così: il
movimento del «politicamente corretto», di vocazione postmoderna e costruttivista, nato negli Stati Uniti
ma presto trasferitosi in Svezia e di lì all’intera Europa, ha portato le élites svedesi ad adottare un pensiero
postcoloniale con decisi tratti multiculturali che è divenuto un vero e proprio strumento politico teso a
sopprimere ogni dibattito basato su razionalità e realtà. L’ ideologia del p.c. costringe tutti a chiudere gli
occhi di fronte alle infamie commesse da migranti (stupri, terrorismo, commercio illegale di armi, droga e
persone) e a cantare nel coro buonista che dice che l’immigrazione è fonte di arricchimento culturale e
magari anche economico: così che chi afferma che i migranti sono un problema è considerato – sostiene
Friedman – razzista. Se non aderisci alla cultura politicamente corretta del gruppo egemone ti vergogni e
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diritti-e-altro-ancora/