Infolampo: Salute e sicurezza – Dopovoto
Salute e sicurezza, una questione anche di genere
Spazi, attrezzature e ritmi derivano da un’organizzazione del lavoro creata per gli uomini. Per le donne
le mansioni sono per lo più caratterizzate da azioni che minacciano la salute, sia fisica che mentale. Ecco
cosa si può fare per invertire la tendenza
di Elena Petrosino
Il numero delle donne che lavorano nel mondo è il più alto di sempre, seppur persistano differenze di
genere nell’accesso al mercato del lavoro e all’istruzione, status e stabilità del salario ecc. In questo
contesto, in cui si sta producendo una femminilizzazione dei
lavori poveri (definizione Ilo), l’occupazione delle donne nel
mondo del lavoro è caratterizzata dalla cosiddetta
discriminazione/segregazione di genere: le donne per ragioni
culturali, fisiche, religiose non sono impiegate negli stessi lavori
degli uomini anche all’interno dello stesso settore, sia con
divisioni tra tipi di attività e mansioni svolte (discriminazione
orizzontale), sia rispetto all’inquadramento/carriera
(discriminazione verticale).
La discriminazione/segregazione comporta un’esposizione
diversa per tipologia di rischi lavorativi, intensità e durata.
Sostanzialmente la letteratura ci dice, ormai da diversi anni, che
nella maggioranza dei casi il lavoro femminile è caratterizzato da
azioni ripetitive, monotone, con uno sforzo statico e
responsabilità multiple (dentro e fuori dal lavoro) che minacciano
sia la salute fisica che quella mentale (malattie muscolo-scheletriche, disturbi mentali-depressione, asma).
Gli spazi, gli equipaggiamenti e le attrezzature, i ritmi derivano da un’organizzazione del lavoro creata
per una popolazione maschile, che peraltro corrisponde al “neutro” uomo medio. Così come tra le
patologie specificatamente femminili (aborti spontanei, nascita pretermine, ridotta fertilità, endometriosi)
è stata dimostrata una correlazione all’esposizione a fattori di rischio occupazionali e ambientali. A
questo quadro si sommano le molestie, le discriminazioni, il mobbing e la vera e propria violenza che
viene esercitata nei confronti delle donne, dentro e fuori dai luoghi di lavoro.
Ciononostante, malgrado la letteratura e le indagini svolte anche da noi in questi anni facciano emergere
chiaramente gli elementi a cui prestare attenzione nella contrattazione e nella prevenzione, c’è ancora un
lavoro importante da fare. A cominciare da una serie di azioni che qui si tenta di riassumere: 1) provando
a ridurre la discriminazione/segregazione orizzontale e verticale nei luoghi di lavoro. Un passo che
riguarda anche la scelta dei nostri Rls: dobbiamo mettere nelle condizioni le nostre compagne nei luoghi
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Razzismo: non rinviabile
costruzione movimento
antirazzista e antifascista
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Riorientare lo sguardo: di lato
L’Italia del dopovoto/ Il dibattito pre-elettorale ha seguito un’agenda imposta su tasse e politiche
securitarie e un linguaggio sloganistico, ignorando temi fondamentali, dal Fiscal compact alla politica
estera, alle questioni del movimento delle donne. Gli astenuti restano al 27%. Serve uno sguardo nuovo,
più obliquo.
di Grazia Naletto
Una società profondamente diseguale, divisa e impoverita, individualista e atomizzata che pensa di vivere
in un paese in pieno declino economico e sociale; la sfiducia ormai radicata nella istituzioni e nella classe
politica, ma anche nei cosiddetti “corpi intermedi”; la semplificazione e la polarizzazione del dibattito
pubblico: sono ciò che, con una nettezza superiore a quella attesa, riflette l’esito del voto del 4 marzo,
spaccando a metà l’Italia in modo molto più articolato di quanto non emerga dalle mappe bicolore
elettorali.
La visione ottimistica di un’Italia uscita dalla crisi proposta dal Governo uscente non ha convinto neanche
gli elettori del suo principale partito di riferimento. Le scelte economiche e sociali adottate negli ultimi
cinque anni hanno approfondito e moltiplicato le distanze e le diseguaglianze a tal punto che siamo
costretti a festeggiare una partecipazione al voto del 73%, seppure non abbia fermato la sua tendenza
decrescente. Eppure, il 27% di coloro che hanno scelto di non votare, se potesse contare, rappresenterebbe
il secondo partito del paese.
Almeno una parte di questo 27%, insieme al voto liquido che fluttua rapidamente da un partito a un altro
(il 40% di consenso al rottamatore Renzi risale solo a quattro anni fa), lasciano aperti degli spazi
all’azione politica che voglia interpretare e praticare da sinistra la forte domanda di cambiamento presente
nel Belpaese.
La campagna elettorale è stata giocata tutta o quasi sul posizionamento dei tre maggiori partiti in materia
di lavoro e reddito, tasse, sicurezza e immigrazione, più a colpi di slogan, che sulla base di un confronto
dialettico di merito sui diversi programmi elettorali.
Scarsa l’attenzione per il modello di welfare del futuro, con effimere eccezioni dedicate all’istruzione e
alla sanità: il dibattito sulla proposta sul reddito del M5S lo ha sfiorato marginalmente. Grandi assenti la
questione di genere (tematizzata solo da poche candidate), le politiche abitative, quelle culturali e
soprattutto l’ambiente (il che, in un paese devastato da politiche urbanistiche irresponsabili e dalle
catastrofi naturali, è un paradosso).
La politica estera e per la difesa e, persino, la questione dell’Europa sono rimaste sullo sfondo e non
sembrano aver pesato molto sui risultati elettorali: del resto sarebbe stato imbarazzante per i principali
attori in gioco (tranne che per la lista +Europa).
Il Pd al Governo, pur avendo strappato qualche margine sulla flessibilità di bilancio, ha sostanzialmente
accettato i dogmi imposti da Bruxelles (politiche di austerità, pareggio di bilancio, contenimento della
spesa pubblica, riforme strutturali su lavoro e pensioni), ma ha aumentato in questi anni la spesa militare e
ha bloccato il dimezzamento del programma di acquisto degli F35.
La Lega Nord, l’interprete più convinta dell’euroscetticismo italiano, ha preferito puntare tutto sulla flat
tax e sulla sua carta più vincente: la retorica della paura e della competizione tra cittadini italiani e
stranieri sul lavoro e nel welfare, che ha aperto il varco a una xenofobia e a un razzismo diffusi e
spudorati come mai prima (ed è qui che è convogliata parte dell’onda nera tanto temuta). Questa carta è
risultata più vincente rispetto al passato anche grazie a una gestione delle politiche migratorie nazionali ed
europee incapaci di fare i conti con una globalizzazione che oltre a spostare merci e capitali,
approfondendo le diseguaglianze, alimenta anche i movimenti delle persone. A livello nazionale, lo
slittamento sicuritario dell’ultimo anno, fortemente voluto dal nuovo Ministro dell’Interno, anziché
erodere il consenso alla Lega Nord, l’ha munito di nuova linfa.
Il Movimento 5 Stelle, impegnato a trasformarsi da movimento di protesta in partito di governo, ha
preferito glissare sul cambiamento della propria linea politica sull’Europa, non ricordare troppo spesso la
sua proposta di tagliare le spese militari e mantenere una posizione oscillante e ambigua sulla questione
migratoria.
Incasellare l’esito del voto in modo categorico non è semplice né, forse, è l’esigenza prioritaria. Un voto
contro il sistema in tutto il paese certo, identitario e autoconservativo al Nord, di sostanziale ribellione
(ma anche di grande e disperata speranza) degli esclusi al Sud. E’, insieme, il frutto di una perdita di
radicamento sociale per la sinistra, della crisi del modello di rappresentanza e della deligittimazione delle
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