Infolampo: 25 Aprile – Partigiani
Il 25 Aprile e lo sdoganamento post-democratico
Il problema è la totale disgregazione del senso civico in Italia, nella crisi paurosa della sinistra, antico
baluardo della Costituzione e della Resistenza.
di Angelo d’Orsi, da il manifesto, 25 aprile 2018
Ce la farà l’Italia a diventare socialista, ci si chiedeva un tempo. Poi se sarebbe mai diventata almeno un
“paese moderno”. Infine, ci si dovette acconciare all’idea che il
nostro era un “paese senza”.
Senza la capacità di costruire una vera comunità, senza il
rispetto per la propria storia, senza la volontà di fare i conti con
quei capitoli poco onorevoli di quella storia, un paese privo di
identità, dunque anche di futuro. E una delle spiegazioni era
l’assenza di autentici valori condivisi. Non pochi commentatori
hanno almanaccato, con gusto per le sciocche banalizzazioni,
che l’Italia è sempre stata divisa, tirando in ballo i Guelfi e i
Ghibellini, i Capuleti e i Montecchi per arrivare poi, come se
niente fosse, al conflitto fascisti/antifascisti, che con il biennio
’43-45 assumeva il tratto della “guerra civile”.
In occasione del 70° della Liberazione, con un messaggio assai
nitido il presidente Mattarella aveva chiarito che non sussisteva
alcuna possibilità, storica e politica, di porre sul medesimo
piano fascismo e antifascismo, resistenti e oppressori,
repubblichini e partigiani. Eppure nel triennio successivo, forse mai come in passato, nuovi e vecchi
gruppi della galassia nera hanno mostrato segni via via più consistenti di una presenza nella vita politica
che è parsa assai attiva, e producente di risultati sullo stesso piano istituzionale, oltre che su quello
sociale, culturale e ideologico. Casa Pound è diventato un interlocutore costante nei talk show televisivi, e
suoi esponenti ce li siamo trovati in amministrazioni locali, oltre che candidati a seggi elettorali, in sede
locale o nazionale. Tutto ciò mentre questi giovanotti e ex tali, non rinunciavano a manifestare le proprie
“idee” aggredendo, minacciando, pestando secondo l’intima, e irriducibile logica del fascismo: la
violenza.
Lo “sdoganamento” dei neofascisti, risalente a Bettino Craxi, ha proceduto di pari passo con il venir
meno delle autentiche barriere contro il fascismo: i partiti politici di tradizione democratica e antifascista,
le scuole di partito, i giornali di partito (e anche quelli di opinione, con sempre meno eccezioni,
ovviamente a partire dal manifesto), ma anche la scuola, aziendalizzata, e scempiata da una serie di
Leggi tutto: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-25-aprile-e-lo-sdoganamento-post-democratico/
Precisazione doverosa: l’articolo di Sanguinetti sulle nuove migrazioni inserito in Infolampo180424 è tratto
da rassegna.it e non da libereta.it. Ci scusiamo dell’errore con la redazione di Rassegna e con i lettori.
Cgil: la sicurezza sul lavoro è
emergenza nazionale
Leggi su www.rassegna.it
www.internazionale.it
I partigiani perduti
Questo articolo è uscito il 6 maggio 2016 nel numero 1152 di Internazionale, a pagina 36. L’originale era uscito su Jacobin
Magazine con il titolo The lost partisans.
In Italia il 25 aprile si celebra l’anniversario della liberazione dal fascismo. Il 25 aprile del 1945 i
partigiani liberarono Milano e Torino, città industriali del nord, dalle truppe di Hitler e da quelle
rimaste fedeli a Mussolini dopo che le forze alleate avevano preso il controllo di buona parte del paese.
Tre giorni dopo, in un umiliante epitaffio del ventennio, i partigiani catturarono e misero a morte
Mussolini e i suoi uomini, per poi appenderli per i piedi a piazzale Loreto.
di David Broder, Jacobin Magazine, Stati Uniti
Il 25 aprile è una festa patriottica che celebra le gesta di una minoranza armata. La festività fu introdotta
nel 1946, mentre il Comitato di liberazione nazionale (Cln), composto tra gli altri dai rappresentati della
Democrazia cristiana (Dc), del Partito socialista (Psi) e del Partito comunista (Pci), cercava d’identificarsi
con i valori universali di libertà, democrazia e unità nazionale. In questo senso è significativo che la festa
della liberazione ricorra nel giorno in cui il Comitato di liberazione nazionale alta Italia (Clnai) proclamò
l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, non nella data della liberazione finale del
territorio italiano da parte degli alleati.
Tuttavia, anche se i partiti del Cln sostenevano di rappresentare “un intero popolo in armi”, esclusi gli
ultimi lealisti del regime fascista (considerati burattini della Germania e non veri patrioti), il 25 aprile non
è mai davvero riuscito a essere un simbolo di unità nazionale. Non solo perché i battaglioni residui
dell’estrema destra celebrano ancora oggi le loro commemorazioni nella cittadina natale di Mussolini,
Predappio, ma anche perché nella cultura popolare la resistenza è stata sempre identificata principalmente
con il Partito comunista italiano.
I presidenti della repubblica e quelli del consiglio continuano a celebrare il 25 aprile 1945 come momento
fondante della democrazia italiana, ma le manifestazioni organizzate per la ricorrenza rappresentano
soprattutto quella politica che non è mai riuscita a modellare la repubblica italiana nel dopoguerra.
Cardine anticomunista
Anche se il 60 per cento dei partigiani combatté nelle unità organizzate dal Pci, i comunisti
condividevano la leadership politica del Cln con democristiani, liberali, socialisti e altri. E mentre la
mobilitazione antifascista sfociava nella fondazione di una democrazia parlamentare, le vecchie élite
trovarono subito il modo di riaffermare il controllo dello stato. Certo, dopo la liberazione i partiti del Cln
governarono l’Italia insieme, scrivendo una nuova costituzione e fondando una repubblica, ma nel maggio
del 1947 le pressioni legate alla guerra fredda costrinsero il Pci a uscire di scena. Nel 1946 il leader
comunista Palmiro Togliatti, ministro della giustizia, nel tentativo di pacificare le tensioni sociali aveva
voluto un’amnistia che riguardava anche i fascisti. Ma quando la sinistra fu emarginata, i partigiani stessi
diventarono il bersaglio di processi politici istruiti da ex fascisti nella magistratura e nella polizia.
La distanza tra i combattenti partigiani e l’establishment del dopoguerra era evidente già il 25 aprile del
1947, quando si sciolse la seconda forza tra quelle che avevano contribuito alla resistenza, il Partito
d’azione, formato da repubblicani e socialisti. La controffensiva anticomunista dopo la liberazione
raggiunse l’apice il 14 luglio del 1948, con l’attentato contro Togliatti. Il gesto, compiuto da un militante
di estrema destra, scatenò non solo uno sciopero generale, ma nei giorni successivi spinse molti ex
partigiani a riprendere le armi e occupare i luoghi di lavoro e i commissariati di polizia.
I leader del Pci temevano lo scoppio di una guerra civile come in Grecia, dove i sostenitori del re aiutati
dai britannici avevano massacrato i partigiani comunisti dopo il 1945. Il Partito comunista italiano riuscì a
tenere a freno i suoi esponenti più avventuristi, e con l’ingresso dell’Italia nella Nato, nel 1949, la
speranza che la resistenza sfociasse in una rivoluzione svanì rapidamente. Il Pci, principale partito della
resistenza, era condannato a mantenere un rapporto ambivalente con lo stato nato dopo il 25 aprile, di cui
aveva contribuito a scrivere la costituzione. Secondo partito del paese – fino al suo scioglimento nel 1991
ha oscillato tra il 22 e il 34 per cento dei voti – il Pci non andò mai al potere a causa della posizione
strategica dell’Italia nel blocco occidentale, e questo nonostante gli sforzi di Enrico Berlinguer, che negli
anni settanta cercò di raggiungere un “compromesso storico” con la Democrazia cristiana.
Anche se il 25 aprile è ancora contrassegnato da manifestazioni che chiedono di mantenere la promessa
della costituzione di “una repubblica democratica fondata sul lavoro”, per quarant’anni lo stato italiano si
è basato soprattutto sul dominio strutturale della Democrazia cristiana, il cardine anticomunista di tutti i
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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