Infolampo: Naufraghi – Panopticon
Veti, accordi e naufragi
Mentre ognuno dei capi di Stato e di governo della vecchia Europa si beava per avere ottenuto il
massimo per respingere chi chiede accoglienza e riparo, il Mediterraneo a forza otto inghiottiva altre
cento vite umane
di Altero Frigerio
L’Europa è salva, i migranti no. Possiamo riassumere così l’esito dell’ultimo fine settimana di trattative,
alleanze saltate e poi ritrovate, scontri, minacce di veti e
successivi accordi, peraltro più diplomatici che concreti e
conseguenti, in tema di controllo delle migrazioni verso
l’Europa. Le ventotto firme in calce al documento che
indica le nuove linee guida con cui l’Unione si dovrà
misurare con il fenomeno dell’immigrazione sono un
risultato in sé positivo e ci è stata risparmiata la
disgregazione finale del processo comunitario su un
principio ad alto tasso simbolico come la solidarietà del
Vecchio continente di fronte al tema dei diritti umani. Ma
la soddisfazione si ferma qui.
A farla da padroni sono stati infatti gli equilibri politici tra i
vari Stati e al loro interno. Sulla pelle di chi lascia la
propria terra fuggendo da fame, sete, guerre e violenze di
ogni tipo per mettersi nelle mani dei trafficanti, si è giocata una partita segnata da egoismi nazionali,
premiership al capolinea, soluzioni emergenziali e alla lunga poco utili. Così, tra chi ha battuto i pugni sul
tavolo, chi ha minacciato veti, chi ha difeso i propri muri, chi ha messo alla porta le Ong, chi si è salvata
la coscienza promettendo motovedette ai militari libici, alla fine tutti hanno mostrato di che pasta sono
fatti gli attuali protagonisti della scena politica europea.
E mentre ognuno dei capi di Stato e di governo della vecchia Europa si beava per avere ottenuto il
massimo per respingere chi chiede accoglienza e riparo, il Mediterraneo a forza otto inghiottiva altre
cento vite umane. Altre cento persone, come già altri mille esseri umani solo quest’anno, che hanno
pagato con la morte nei vari naufragi, una politica più attenta ai risultati elettorali, alla percezione di
insicurezza delle popolazioni, ai costi dell’accoglienza, più interessata al proprio tornaconto insomma che
al rispetto in primo luogo del diritto, della volontà, dell’esigenza delle persone di potersi muovere,
allontanare, scappare, cercare e sperare di trovare un futuro migliore.
Era questo il principio alla base di un paio di articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
che nel 1948 sanciva il “diritto alla libertà di movimento e di residenza, compresa la possibilità di uscire
dal proprio Paese e di rientrarvi (art. 13); il diritto di cercare e ottenere asilo in altri Paesi, per sfuggire
alle persecuzioni (art. 14)”. A settant’anni da quel solenne impegno, si torna piuttosto a privilegiare gli
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Un convegno ad Arcevia
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Un moderno panopticon: Internet e la società
dell’ignoranza
………..
La pervasività della razionalità scientifica e tecnologica tipica di un mondo iperconnesso come il nostro
pone rilevanti conseguenze in termini di effetti maladattativi e fa emergere con urgenza la questione del
rapporto tra individui e conoscenza. In particolare, occorre domandarsi se sia la conoscenza a
dovere/potere assumere, attraverso il concetto di “counteractive cultural niche”, un ruolo di freno nei
confronti del dilagare esclusivo e privo di regole della tecnologia, o se, invece, si debba mirare alla
costituzione di una “società dell’ignoranza” in cui il residuo ineliminabile di non conoscenza venga
rivalutato positivamente come vera e propria risorsa da coltivare con consapevolezza.
di Elena Giorza
La pervasività della razionalità scientifica: effetti maladattativi
Elemento distintivo della razionalità scientifica è la pervasività. Le nicchie cognitive costruite dalla
scienza hanno un alto tasso di pervasività, si tratta cioè di nicchie ricche dal punto di vista conoscitivo. Le
conseguenze positive sono evidenti: si garantisce un esponenziale accrescimento, rispetto al passato, del
numero di chances nell’ambito della risoluzione di problemi in svariati settori (basti pensare al campo
medico-chirurgico in cui i progressi scientifico-tecnologici consentono un aumento delle possibilità di
guarigione e di sopravvivenza).
Ma la pervasività eco-cognitiva della scienza pone un problema che merita attenzione: gli individui
comuni, non possedendo nella maggior parte dei casi conoscenze scientifiche di tipo specialistico, si
trovano di fronte un ambiente “denso” di opportunità e dal punto di vista cognitivo, senza avere gli
strumenti conoscitivi necessari per sfruttare le affordances della nicchia tecnologica. Il risultato è quello
ben descritto dal concetto di vergogna prometeica di Günther Anders[3]: una realtà in cui si assiste a una
discrepanza e a un dislivello sempre maggiori tra il veloce processo di perfezionamento, in termini di
efficacia, funzionalità e riproducibilità (eternità delle macchine), delle creazioni tecnologiche e
l’imperfezione e la lentezza delle trasformazioni biologiche dei moderni Prometeo, che nella loro
finitezza finiscono per essere preda delle loro stesse creazioni. Le macchine diventano sempre più
intelligenti, autonome e totalizzanti fino a costituire una forma di totalitarismo e gli uomini sempre più
stupidi e antiquati (obsoleti), fino a provare vergogna e soggezione nei confronti delle loro produzioni. Il
problema che si pone è, quindi, dotare gli individui di un sapere che li renda capaci di dedurre
intuitivamente come servirsi delle qualità di un determinato campo cognitivo. Nei casi in cui questo
tentativo fallisce la nicchia assume un aspetto imponderabile di casualità, generando fenomeni
maladattativi e conseguenze inattese. Non avere le conoscenze adatte, quindi, significa non solo non
essere in grado di cogliere i vantaggi di uno strumento potenzialmente utile, ma anche finire per
diventarne “vittima” passiva.
In una realtà in cui si assiste a un assoluto predominio della tecnologia che pone nuove sfide e nuove
questioni morali, sociali, economiche e politiche, investire nello sviluppo di diversi livelli e forme di
conoscenza è inderogabile. L’alternativa è una società soggiogata dalle dinamiche oscure e incontrollabili
di uno sviluppo scientifico incontrollato e senza freni, non accompagnato da una diffusione del sapere.
È chiaro che le nuove tecnologie offrono opportunità tali da permettere di affrontare molti problemi in
modi prima impensabili, ma allo stesso tempo – in particolare per il loro grado di complessità e
l’ampiezza del loro raggio d’azione – comportano dei rischi da non sottovalutare. Un concetto della
riflessione di Anders che chiarisce la questione è quello di “sovraliminale”[4]: la tecnica ha permesso agli
effetti delle nostre azioni e dei nostri prodotti di avere un’influenza su un piano spaziale e temporale tale
da superare il limite della nostra capacità di comprenderli, interiorizzarli ed eventualmente contrastarli (la
soluzione proposta da Anders è di valorizzare e accrescere la funzione dell’immaginazione, a cui si
attribuisce un ruolo centrale anche nell’elaborazione filosofica). Gli esempi in questo senso non mancano:
la questione della privacy è solo uno dei tanti aspetti da considerare, accanto alle problematiche poste
dalle nuove biotecnologie – che, come sottolineato da Neil Levy[5], richiedono una riflessione bioetica e
neuroetica adeguata per non avere effetti negativi – dalla globalizzazione, dall’ecologia e dallo stesso
capitalismo, a fronte dei nuovi mezzi di comunicazione.
Il rapporto individuo-conoscenza in un mondo iperconnesso
Per comprendere come le innegabili possibilità offerte dalla tecnologia possano trasformarsi in fenomeni
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