Infolampo: Salute – Disabilità
Una salute a due velocità
Al Nord la vita è più lunga che non nel Mezzogiorno. E a tassi di istruzione più elevati corrisponde una
maggiore aspettativa di vita. Non ultimo, anche le patologie, come le cure, cambiano su base geografica
oltre che di reddito!
di Giorgio Frasca Polara
Chi abita al Nord vive più a lungo di chi vive al Sud. Ha solo la licenza elementare? La sua aspettativa di
vita è minore del laureato. Sono solo due dei dati impressionanti che si desumono dall’ultima indagine
resa nota dall’Osservatorio nazionale della Salute nelle regioni
italiane, un progetto messo in piedi dall’Università cattolica di
Roma grazie all’impulso dell’Istituto superiore di Sanità e del
suo presidente Walter Ricciardi che fa parte del consiglio
esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità. I dati di
base del rapporto sono prodotti da Istat e da Eurostat.
Il processo di divaricazione tra Nord e Sud – ha osservato il prof.
Ricciardi – è cominciato nel 1992 con l’aziendalizzazione della
sanità: le regioni settentrionali hanno cominciato a organizzarsi,
le altre no. E da allora il divario è man mano aumentato,
diventando più netto. Con il risultato, tra gli altri, che “le
disuguaglianze sono acuite dalle difficoltà di accesso ai servizi
sanitari che penalizzano le popolazioni di livello sociale più
basso, con un impatto significativo sulla capacità di prevenire o
di diagnosticare rapidamente le patologie”, come denuncia il
rapporto dell’Osservatorio. Prendiamo la Campania, cioè la regione più penalizzata d’Italia. Nel 2017 gli
uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3(media 81). Un paragone? Nella provincia di Trento,
come press’a poco nelle altre aree del Nord-Est, gli uomini hanno un’aspettativa di vita di 81,6 anni, e di
86,3 le donne. Né la Campania è un caso isolato, seppure il più inquietante: la media nelle regioni del
Mezzogiorno è appena superiore a quella campana: 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. Ora, la
media italiana di speranza di vita alla nascita è di 82,75anni. Ma con divari rilevanti.
Nell’ordine Napoli e Caserta (meno due anni) sono il fanalino di coda, seguite dalle province di
Caltanissetta e Siracusa (meno un anno e mezzo). Per contro la provincia più longeva è quella di Firenze:
84,1 anni di aspettativa di vita. E le regioni più longeve, con una media superiore al dato nazionale, sono
nell’ordine Trentino-Alto Adige (83,5), Veneto, Marche e Umbria (83,3), Toscana e Lombardia (83,2),
l’Emilia Romagna (83,1) e per un pelo Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia e Puglia (82,8). Sotto la media
nazionale restano la Campania naturalmente (81), e poi Sicilia e Valle d’Aosta (81,8), Calabria (82,2),
Basilicata (82,4), Molise (85,5), Piemonte, Sardegna e Lazio (82,6) e la Liguria (82,73)
Se da qui si passa al livello di studi (e quindi, potenzialmente, ad un maggior reddito) c’è la riprova dei
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Pensioni: Cgil, adesso risposte
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Trenta anni. Storia e proposte per progetti di vita di
persone disabili o svantaggiate
– Apprezzabile e puntuale la Documentazione presentata e lo studio dell’Ervet sulla situazione nella sua
serie storica, 2013-2017.
– Molto interessanti e con parecchi stimoli le tre Comunicazioni presentate dai tre Gruppi Tematici inter-
pro-fessionali preparator e le Idee progettuali. Qualora le conclusioni finali e le varie proposte operative
risultino il programma della Agenzia del Lavoro sulla problematica del Collocamento Mirato nel
prossimo futuro, esse rappresentano una buona base per lo sviluppo delle azioni di governo della RER su
questa materia.
di Roberto Alvisi
1989-2018 – Trenta anni. Una esperienza con molte sollecitazioni culturali e di promozione sociale, con
tanti straordinari tentativi di affermazione dei diritti e delle opportunità di realizzazione dei progetti di
vita delle persone disabili o svantaggiate. L’Italia ha il miglior impianto legislativo e normativo a livello
europeo e non solo, seppure con le contraddizioni degli interessi diversi e delle difficoltà di costruire i
percorsi necessari.
Trenta anni fa entrai nella Agenzia per l’Impiego, dopo un primo precedente periodo di collaborazione,
come sindacalista, alla elaborazione della struttura che avrebbe dovuto essere caratterizzata da una forte
autono-mia operativa e con una concezione prevalentemente privatistica delle iniziative promozionali a
realizzare il diritto al lavoro delle persone disabili. Questo era prevalentemente l’indirizzo voluto dai
giuslavoristi che avevano progettato la Agenzia. Si registrò subito un Impatto frenante molto forte con la
struttura burocratica Ministeriale. Faticosa costruzione della struttura della Agenzia e della sua
operatività, fino alla integrazione completa nell’Apparato Regionale.
1999 – Legge 68. Ottima impostazione normativa della Legge. Buona la predisposizione delle basi
tecnico-operative (in particolare i Prospetti e le procedure previste). Pesante il condizionamento
burocratico sia della precedente esperienza degli Ispettorati e della concezione della “addizionale di
manodopera”, come obbligo con conseguente rallentamento degli inserimenti. La proposta di operare con
“le reciproche convenienze” tra datori ed Agenzia, per l’affermazione di percorsi possibili e positivi,
sostanzialmente non viene recepita. Non scatta la collaborazione virtuosa con le imprese per le verifiche
diffuse degli ambiti potenzialmente più favorevoli agli inserimenti e quindi non sono attivate in modo
adeguato le necessarie azioni di sviluppo delle conoscenze del tessuto produttivo (salvo alcune
interessanti esperienze) e le convergenze con le diverse potenzialità professionali disponibili.
2009 – Crisi. Sostanziale inversione di tendenza con propensioni aziendali alla emarginazione delle figure
professionali più deboli e con la contestuale espulsione di parecchie persone nei casi aziendali di crisi e di
ristrutturazione. Qualche esperienza positiva (es a Bologna Csapsa Coop e inniziative dei sindacati, Ivano
Pioppi), ma in definitiva hanno prevalso, largmente, le azioni di carattere difensivo e in qualche modo
quali-ficate o giustificate dall’obbligo. Questo sia nel settore privato che in quello pubblico delle Imprese.
2019 – Algoritmi. Dalla ripresa dell’economia nel mondo, dalla fisica quantistica, dalle nuove tecnologie
informatiche escono ormai progettazioni molto significative, nelle varie realtà produttive e dei servizi, che
hanno nella velocità di esecuzione la caratteristica più rilevante e che intervengono pesantemente e nel
profondo sulle organizzazioni dei lavori e delle professionalità, nonché sulla loro formazione. Questa
velocità operativa caratterizza anche nascita e cessazione rapida delle procedure formalizzate (algoritmi)
e dei criteri della assunzione o della sostituzione della manodopera nelle aziende e nelle filiere di sub-
fornitura collegate. Obsolescenza di molti profili professionali in tempi rapidi (es. centralinisti non
vedenti e operatori di ufficio e di officina), difficoltà ad affrontare la conoscenza delle nuove
caratteristiche della domanda nelle realtà im-prenditoriali più dinamiche; difficoltà ad affrontare tutte le
varie implicazioni di un sistema pubblico che fatica a misurarsi con queste evoluzioni (dal quadro dei
Prospetti ex L.68/1999 e delle scoperture emerge con chiarezza che nelle prime dieci/venti aziende aventi
maggior dovere, una notevole presenza è data dalle Aziende pubbliche: RER, Università, Comuni,
Aziende ASL e collegate).
Cresce quindi la esigenza di misu-rarsi “anche” con le sconvolgenti prospettive delle robotizzazioni
crescenti e delle nuove tipologie delle varie organizzazioni dei lavori e delle produzioni di beni e servizi,
nonché sulle esigenze di conoscenza e di nuove professionalità richieste anche alle persone disabili, senza
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per-progetti-di-vita-di-persone-disabili-o-svantaggiate/