Il paradosso del gatto di Schrodinger
Quanti di voi hanno mai preso in considerazione l’idea di chiudere in una scatola un gatto, una fiala di
cianuro, un elemento radioattivo, e sigillare il tutto per una intera ora? Sperabilmente e presumibilmente
nessuno. L’idea venne però al premio Nobel (1933) Erwin Schrödinger nel 1935, il fisico austriaco intendeva mettere in discussione la quantistica nell’ambito dell’interpretazione di Copenaghen.
Sicuramente non è mia intenzione addentrarmi, oltretutto in mancanza di competenze specifiche, in
diatribe di fisica quantistica, ma la cosa interessante è il principio che sta alla base dell’esperimento,
mentale e mai praticato dal vero ovviamente, di Schrödinger. Nell’esperimento ci sono numerose variabili
di cui non si conosce il valore, la fiala di cianuro potrebbe essersi rotta o meno; l’isotopo radioattivo
potrebbe avere rilasciato le radiazioni, ma non si sa quando e quindi se; in sintesi il gatto potrebbe essere
vivo o morto; lo si scoprirà solo aprendo la scatola dopo che sarà trascorsa la fatidica ora.
Astraendosi dalla quantistica, il succo di quello che è stato definito “il paradosso del gatto di Schrödinger” è
che non osservi direttamente un fenomeno, non puoi conoscerne direttamente gli effetti ed i risultati, non
hai la piena comprensione dei fatti. Se non si osserva direttamente un fenomeno si possono verificare
sovrapposizioni di stati, in questo caso il gatto potrebbe essere vivo o morto, le variabili appaiono miscelate
assieme al 50%. Fino a che la fiala di cianuro non si rompe il gatto è vivo, se l’atomo rilascia radioattività il
gatto è morto, ma nessuna di queste condizioni è certa. Quando si apre la scatola e si vede lo stato in cui si
trova il gatto, si effettua la misurazione e quindi viene compiuta la scelta tra i due stati possibili.
MAURIZIO DONINI