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Infolampo: 9febbraio – Ungheria

Tutti in piazza il 9 febbraio
In vista della manifestazione del 9 febbraio promossa unitariamente dai sindacati Cgil, Cisl e Uil contro
la manovra del Governo, il segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti lancia un messaggio dal suo
profilo Facebook. Per ricordare le ragioni della protesta, per ricordare di cosa ha bisogno il nostro
paese. Per ricordare cosa chiedono i pensionati.
Pedretti ha ricordato come l’Italia sia tecnicamente in recessione. “Questa non è una buona notizia, siamo
preoccupati. Il Governo ha presentato una manovra economica che per noi non risolve i problemi. Ci
hanno spiegato che volevano abolire la legge Fornero e non
l’hanno fatto. Hanno istituito Quota 100, che darà sì una
risposta ai lavoratori, ma finirà per discriminarli. Ci saranno
persone che non riceveranno questo beneficio, pur avendo
lavorato per più di 40 anni. Si risponde a una fascia di
lavoratori rappresentata dalle grandi fabbriche del nord e dal
pubblico impiego”. Il segretario generale dei pensionati Cgil
ha poi chiarito che a restare fuori siano i lavoratori del sud,
molti lavoratori dell’edilizia con carriere discontinue. E poi
nella manovra non c’è nulla per le donne né sul lavoro di
cura né sulla possibilità di anticipare la loro pensione.
Per non parlare dei giovani. “Il governo dovrebbe essere
molto attento alla loro condizione”.
Ai pensionati, invece, il governo ha tagliato di nuovo la
rivalutazione. Tre miliardi e mezzo, da utilizzare per altri
fini. Per il segretario generale dei pensionati Cgil si tratta di
una vera ingiustizia. “Non si può pensare che le persone
anziane che hanno lavorato anni e contribuito al benessere della società continuino ad essere
costantemente danneggiate. Siamo i soggetti che pagano il conto delle scelte dei diversi governi,
compreso questo del cambiamento”.
Dunque, bisogna andare in piazza. Per chiedere il cambiamento vero. “Di cambiamento ce n’è ben poco.
Il Presidente del Consiglio ci ha persino definiti “gli avari di Moliere”. Io penso che lui dovrebbe
vergognarsi”. Per essere ancor più chiaro, Pedretti chiama in causa i numeri. Che parlano chiaro. “Conte
parla di persone che guadagnano circa 1.000 euro e che hanno contribuito costantemente, dalla crisi del
2008 a oggi, a tenere in piedi il paese. Nel dire che sono avari, francamente, dovrebbe davvero
vergognarsi”.
Tra gli ultimi punti del suo video messaggio, c’è il reddito di cittadinanza. “È giusto rispondere alla
Il video si può vedere integralmente sul profilo Facebook di Ivan Pedretti.
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9 febbraio, piazza San Giovanni
sarà piena

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“Legge schiavitù”, un Jobs act all’ungherese
L’aumento da 250 a 400 ore annue praticamente a discrezione delle imprese e pagabili con una dilazione
fino a tre anni ha scatenato nel paese magiaro una fortissima protesta. Ma il despota Orban non fa altro
che seguire la stessa strada di tanti altri paesi, una strada tracciata dalle oligarchie internazionali degli
affari
di Renato Fioretti
Come capita da diversi anni, è cambiato molto il mio modo di intendere il piacere di “andare in giro”.
Premesso di aver avuto la fortuna, a partire dall’età di 16 anni, di poter viaggiare molto, in Italia prima e
all’estero poi, rilevo che, ormai, all’entusiasmo che mi coglieva all’idea di raggiungere una nuova meta,
ho, da tempo, sostituito il rassicurante piacere di rivedere cose e luoghi a me già noti e familiari. In effetti,
se è giusto affermare che “L’assassino torna sempre sul luogo del delitto”, nel mio caso, si dovrebbe
parlare di un vero e proprio “serial killer”!
Era questa la scherzosa conversazione che, qualche giorno fa, intrattenevo con mia moglie – fedele
compagna di viaggio nel corso degli ultimi 40 anni – immersi nello straordinario scenario e nella magica
atmosfera “d’altri tempi” del “New York Bar”, una tra le più belle e, forse, la più elegante location
esistente al mondo; nel quartiere ebraico di Budapest.
Considero, quindi, una gran fortuna essermi ritrovato qui proprio nei giorni in cui si è sviluppata la
grande protesta – culminata in una manifestazione cui, si dice in giro, avrebbero partecipato oltre 15 mila
persone – contro la cosiddetta “legge schiavitù”.
Legge così definita perché le norme approvate dall’esecutivo “comandato” da Orban, il novello despota
ungherese (che tanto piace al nostro rozzo Salvini (1)), offrono la possibilità alle imprese di pretendere
prestazioni di lavoro straordinario che, dall’attuale limite di 250 ore annue, passano a 400.
In realtà, la possibilità, per le imprese, di pretendere un così corposo aumento delle ore di straordinario
(pari al 60 per cento) – attraverso accordi con i lavoratori che, in sostanza, escludono qualsiasi ruolo da
parte delle rappresentanze sindacali – costituisce solo l’ultimo passo di un processo teso ad aumentare al
massimo i livelli di flessibilità, precarizzare i rapporti i lavoro (con massiccio ricorso al tempo
determinato) e sottrarre tutele e diritti ai lavoratori; sia riducendo il potere contrattuale dei sindacati, sia
riconoscendo particolari poteri alla contrattazione locale e aziendale, in deroga a quella, classica, di
livello nazionale.
Tra l’altro, è addirittura incredibile e, direi, sfiora la farsa, quanto indicato dalla legge, relativamente al
pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario. Si prevede, infatti, che le aziende abbiano tre anni di
tempo, a loro disposizione, entro i quali retribuire i lavoratori!
Possibilità che, evidentemente, fa piena luce sulla macroscopica menzogna di coloro che, con il
Presidente-despota, sostenevano l’esigenza di approvare la suddetta legge al solo fine di “favorire quei
lavoratori che avessero più voglia di lavorare per guadagnare di più”. Gran bella soddisfazione, di certo,
chiedere di lavorare 8 ore in più a settimana e scoprire che il pagamento potrà avvenire nell’arco dei
prossimi tre anni!
È per questo, evidentemente, che i lavoratori magiari innalzavano cartelli sui quali appariva scritto: “Non
chiamatela legge sul lavoro; è una legge sulla schiavitù” e le loro rappresentanze sindacali, attraverso il
presidente della Federazione sindacale unitaria ungherese, Laszlo Kordas, annunciavano lo sciopero
generale e la richiesta di aumento dei salari; unitamente a un sistema pensionistico più flessibile.
Alle proteste dei lavoratori si aggiungono le denunce per gli attacchi agli organismi giudiziari ungheresi;
in estrema sintesi, coloro che si oppongono alla riforma ritengono che Orban intenda “normalizzare” il
sistema, superando l’indipendenza dei giudici e sottoponendo l’operato della Corte Suprema alla
supervisione governativa.
Naturalmente, gli oppositori contano molto anche sull’appoggio “esterno” – di carattere, evidentemente ed
esclusivamente, diplomatico – perché sperano sull’avvio nel 2018, da parte dell’Europarlamento, del
cosiddetto “articolo 7”; una procedura di infrazione, a carico di Orban, per violazione dello Stato di diritto
e principi fondativi dell’Ue.
Chi, però, riesce, in un certo senso, a non lasciarsi distrarre dalle apparenze, sa bene che le cose non sono
così semplici e lineari, come appaiono ad una prima, sommaria, analisi.
Se è vero, infatti, che l’esecutivo condotto da Orban si è reso responsabile di atti ed azioni riprovevoli,
condannate in patria come nel resto del mondo – alludo alla costruzione del muro contro l’ingresso di

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schiavit%C3%B9%E2%80%9D-un-jobs-act-all%E2%80%99ungherese