Politica commerciale UE per la salvaguardia dei diritti
Gli accordi commerciali UE sono strumenti per promuovere i diritti umani, gli standard di sicurezza
sociale, il rispetto per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. In caso di necessità l’UE può anche
imporre restrizioni commerciali unilaterali od obblighi di dovuta diligenza agli importatori al fine di
garantire che il denaro proveniente dal commercio con l’UE non venga utilizzato per finanziare
conflitti e violazioni dei diritti umani in questi paesi. L’UE si è altresì dotata di norme rigorose per
impedire che beni e tecnologie di origine europea vengano usati altrove per finalità contrarie
all’etica, come nel caso di sostanze mediche che potrebbero essere utilizzate nelle esecuzioni.
Anche le importazioni di articoli la cui produzione è legata a violazioni dei diritti umani sono
soggette a restrizioni, compresi i minerali provenienti da zone di conflitto e gli oggetti
potenzialmente utilizzabili come strumenti di tortura.
L’UE ha adottato misure per vietare l’importazione di minerali provenienti da zone di conflitto. Nel
2002, dopo aver riconosciuto le conseguenze del commercio internazionale di diamanti sui diritti
umani, l’UE ha adottato norme che vietano tutte le importazioni di diamanti grezzi privi di
certificato di origine. Analogamente, i minerali utilizzati per la produzione, ad esempio, di
dispositivi ad alta tecnologia, provengono spesso da paesi dilaniati da conflitti. Gli introiti derivanti
dalle esportazioni di minerali verso l’UE sono stati spesso utilizzati per alimentare rivolte armate.
Per evitare che il commercio internazionale di minerali finanzi i conflitti e le violazioni dei diritti
umani, nel 2017 i deputati al Parlamento europeo hanno approvato norme che obbligano gli
importatori europei di stagno, tungsteno, tantalio e oro ad effettuare controlli di dovuta diligenza
sui loro fornitori. Il regolamento entrerà pienamente in vigore a partire dal 2021.
Le norme UE vietano qualsiasi transazione commerciale di beni e servizi che possa contribuire alla
tortura o all’esecuzione. Dal 2004 è in vigore un sistema di controllo delle esportazioni che
consente di ispezionare e vietare le merci potenzialmente utilizzabili a fini di tortura. È necessaria
l’autorizzazione per quei prodotti che, pur avendo scopi legittimi, possono essere utilizzati anche
per compiere violazioni dei diritti umani, come i medicinali. Le norme comprendono anche il
divieto di commercializzazione e transito di strumenti utilizzati per trattamenti crudeli, disumani e
degradanti che non hanno altro uso pratico se non l’esecuzione o la tortura, come le sedie
elettriche o i sistemi automatici per l’iniezione di droghe. Controllo delle esportazioni per il
commercio di prodotti potenzialmente utilizzabili per violazioni dei diritti umani. L’UE si è dotata di
una normativa per garantire che i prodotti e le tecnologie originariamente prodotti per uso civile
in Europa non siano utilizzati per violare i diritti umani. I prodotti a duplice uso sono beni, software
o tecnologie che, oltre allo scopo originario, possono essere impiegati a fini illeciti, ad esempio per
sviluppare armi, compiere attacchi terroristici, spiare i cittadini, infiltrarsi nei sistemi informatici,
piratare i computer o intercettare i telefoni cellulari. È in discussione un aggiornamento delle
norme che prevede controlli più rigorosi delle esportazioni, dell’intermediazione, del transito e del
trasferimento di prodotti a duplice uso e che tiene conto degli sviluppi tecnologici. I controlli delle
esportazioni sono agevolati da una lista comune europea di prodotti a duplice uso.
Nel 2017 il Parlamento ha approvato una risoluzione in cui chiedeva l’adozione di norme UE che
obblighino i fornitori di prodotti tessili e di abbigliamento a rispettare i diritti dei lavoratori. Ha
proposto un sistema di obblighi di dovuta diligenza, ossia un’indagine sulle norme in materia di
diritti umani prima di concludere un accordo commerciale. I paesi terzi sarebbero tenuti a
rispettare le norme UE per la fabbricazione di prodotti tessili sostenibili ed etici. Il Parlamento
vuole inoltre che l’UE e gli Stati membri promuovano le norme dell’Organizzazione internazionale
del lavoro sui salari e sugli orari di lavoro con i paesi partner nel settore dell’abbigliamento.
In una risoluzione del 2016 il Parlamento europeo chiede di individuare modi per rintracciare le
prove del lavoro forzato e del lavoro minorile. Le misure includono l’etichettatura dei prodotti con
la dicitura “senza ricorso al lavoro minorile”, la concessione di preferenze commerciali ai paesi che
rispettano determinate norme del lavoro e il divieto di importazione per i prodotti fabbricati
ricorrendo al lavoro minorile. L’attuazione di un meccanismo efficace di tracciabilità orienterebbe
verso un divieto totale di tali prodotti. Nella risoluzione si chiede inoltre che la lotta al lavoro
forzato e al lavoro minorile sia inclusa nei capitoli relativi al commercio e allo sviluppo sostenibile
degli accordi dell’UE finalizzati alla promozione dei diritti umani attraverso il commercio
internazionale.
MAURIZIO DONINI