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Beppe Modenese uno dei creatori del Made in Italy nel ricordo di Mario Vespasiani

Certi ricordi che sopravvivono nel tempo spesse volte non riguardano fatti importanti ma dettagli che potremmo definire secondari, che tuttavia completano la nostra personalità, delineano il nostro stile. Di punto in bianco affiorano momenti inaspettati e forse niente è perduto per sempre se abbiamo imparato qualcosa, facendola in qualche modo nostra e soprattutto se in quell’istante l’abbiamo amata. Ho la stessa curiosità di quando ero bambino e l’identica smania, tipo quella che percepivo alla notizia che saremmo andati allo stadio a veder giocare Marco Van Basten. Mio padre ci teneva a farmi osservare da vicino personaggi particolari perchè è convito che si impara molto di più dall’esempio. Mi diceva di osservare le movenze, l’armonia dei passi e la potenza del tiro, come fosse più un ballerino che un calciatore, un funambolo che fa dell’equilibro un fatto di eleganza. Lo ricordo a San Siro come al Del Duca di Ascoli Piceno “casa” di Costantino Rozzi presidente della serie A bianconera, personaggio che mi rimase impresso per la spiccata ironia e per la vivacità da ragazzino ma soprattutto per un particolare che ho ancora negli occhi: quei calzetti rossi, che staccavano dal completo scuro e che non passavano inosservati, specie quando eravamo seduti a parlare.
La prima volta che incontrai Beppe Modenese provai quello stesso sentimento di curiosità e arguzia per come un dettaglio riuscisse ad inquadrare un personaggio. Un punto deciso di colore in un luogo del corpo inaspettato, la stravaganza di chi se la può permettere, di chi sa che bisogna andare oltre ciò che appare. In più Modenese somigliava ad un mio vicino, che guarda caso aveva a che fare coi tessuti e quindi trovai immediatamente nel suo sguardo attento e gentile un conoscente, ma anche uno del mestiere. Il caso vuole che quei calzetti rosso acceso avessero a che fare con un altro pittore, quale dono dell’amico Balthus. La arti che si incrociano, come le storie e le relazioni. 
Il suo impegno come imprenditore e per anni come presidente della Camera Nazionale della Moda, ha permesso non solo a Milano e alla settimana della moda di diventare un punto di riferimento internazionale per tutto il reparto, ma ha rappresentato quella figura centrale che è mancata al mondo dell’arte in questi trent’anni, capace di unire più menti e di riconoscerne il valore, creando intorno a sé un beneficio che poi sarebbe stato per tutti. Il sistema dell’arte italiano non ha avuto un Beppe Modenese e non è riuscito a creare queste sinergie, questa abilità di regia tra i vari interpreti ed è così rimasto intrappolato nei confini nazionali, mentre il mondo non faceva complimenti e proponeva con successo autori provenienti anche da paesi dove l’arte era considerata al massimo un passatempo, una decorazione, più che una tradizione e una vocazione. In questi ultimi tre decenni il Made in Italy della moda ha saputo crearsi e mantenere una reputazione di livello internazionale, mentre l’arte da questo palcoscenico è stata praticamente essente, se non per qualche eccezione qua e là tipo fuoco d’artificio. 
Impeccabile nei suoi abiti sartoriali, col bastone laccato e col fermacravatta dai riflessi d’oro, in prima fila a tutte le sfilate della Milano Fashion Week, si è dato da fare incoraggiando validi stilisti a partire da Dolce e Gabbana, ma soprattutto immaginando un moderno sistema fieristico della presentazione delle collezioni, conquistandosi a pieni voti il passaporto di “Primo Ministro della moda Italiana”. La sua abilità nel ricordare nomi e volti è la stessa che rivedo nel suo aspetto, nella sua posa ondulata, nell’indossare un cappotto che cadeva a pennello persino in movimento, mentre attraversava la strada. Quella strada a cui la moda deve tanto, quando ha saputo innalzarla a sogno, ad un raffinato elitarismo, che voleva significare rispetto e valorizzazione della propria persona, prima della paradossale ostentazione egocentrica di ciascuno e del logo. Nei giorni del secondo lookdown, delle decine di migliaia di vittime tra i nostri concittadini e tra le personalità del mondo della cultura (che ho voluto ricordare nella mostra “Ritratti – sguardi ed anime” allestita tutt’ora presso l’Archivio di Stato di Pesaro) la scomparsa a 91 anni di Modenese mi auguro che riesca ad incoraggiarci nel perseverare sulla scia del suo esempio, lavorando insieme per un obiettivo comune: la crescita personale con quella del nostro Paese.
Lo immagino ora con Diane Vreeland a parlare del bello immortale, mentre noi dobbiamo risolvere problematiche umane fondamentali tutte in una volta: quelle sanitarie, estetiche, spirituali ed economiche che la pandemia ha evidenziato e che l’individualismo ha incattivito. Come una certa arte di tendenza ci ha anticipato in questi anni, stiamo vivendo la supremazia del brutto, dello scempio in nome del profitto, della moda ingannevolmente democratica che cannibalizza la cultura. Per fortuna ci sono aree che resistono al degrado, che hanno meno visibilità, numeri e che se ne fregano dei like o di rivestire le influencer, che fanno della sapienza artigianale, della carica passionale e innovativa, il loro elemento di riconoscibilità e unicità. Ciao B.M.(come il titolo del catalogo a lui dedicato) goditi che sfida che ci aspetta, perché da lassù si preannuncia ricca di colpi di scena. Siamo di fronte ad un nuovo inizio e quel rosso dei tuoi calzetti che sia quello dell’energia del fuoco, principio primo del nostro universo. M.V.