slider

Festival Economia Trento IL RITORNO DELLO STATO Imprese, comunità, istituzioni

Sintesi dell’intervento di Gregorio De Felice, Chief economist Intesa Sanpaolo, alla
inaugurazione del Festival

La pandemia ha spinto in tutto il mondo i Governi ad intervenire nei sistemi economici e nelle
limitazioni delle libertà individuali. L’obiettivo era quello di garantire la continuità aziendale,
supportare il reddito delle famiglie e i sistemi sanitari.
Emergenza sanitaria e rischio di collasso economico hanno provocato il più grande intervento
pubblico dello Stato nel secondo dopoguerra: 16 trilioni di dollari spesi globalmente dall’inizio della
pandemia, un valore pari a circa il 20% del PIL mondiale. Il rapporto tra deficit e Pil è schizzato
all’11,7 nei paesi avanzati, al 9,8% nelle economie in via di sviluppo e al 5,5% nelle economie a
basso reddito. Nel 2019 era rispettivamente pari al 2,9%, 4,7% e 3,9%.
L’Italia, tra il 2020 e il 2021, ha adottato misure di intervento per circa 250 miliardi di euro, senza
contare gli importi legati al PNRR in corso di negoziazione con la Commissione europea.
Di fronte alle emergenze, anche il pensiero liberista più estremo deve accettare la necessità
dell’intervento pubblico e auspicare che questo sia tempestivo, proporzionato ed efficace.
L’esperienza della pandemia ha dimostrato che i rimbalzi dalla recessione più rapidi avvengono in
quei paesi che meglio hanno operato con le misure di lockdown, tracciamento dei contagi o – dove si
erano accumulati ritardi come negli Stati Uniti – con campagne vaccinali massicce.
Ne abbiamo ricavato la lezione che ancora una volta l’efficacia della pubblica amministrazione e il
rapporto tra diversi livelli decisionali sono elementi chiave per contenere gli impatti economici di
eventi avversi e limitarne i costi a carico della collettività.
Guardando al futuro, la risposta a quanto Stato è desiderabile avere in una economia mista come
quella italiana è molto difficile. Certamente, un intervento dello Stato nell’economia è indispensabile,
almeno per quattro ragioni:
a) I processi decisionali privati richiedono un quadro di norme che garantiscano la sicurezza, la
libertà degli individui e la dignità umana.
b) Il sistema economico non ha una completa capacità di autoregolarsi; sono necessarie linee di
indirizzo su temi strategici nella promozione dello sviluppo.
c) Ci sono beni pubblici (difesa, tutela dei diritti di proprietà; igiene pubblica e prevenzione
sanitaria) che il mercato non è in grado di fornire in quantità adeguata ed esternalità (come
quelle del sistema educativo) che non riesce a gestire adeguatamente.
d) Il settore pubblico deve continuare ad avere finalità redistributive e di equità che si
concretizzano con la progressività del sistema fiscale e la spesa pubblica sociale.

La pandemia ha portato un elemento nuovo a questi temi, rappresentato da una ritrovata identità
europea. L’Europa ha adottato in tempi rapidi misure eccezionali: la sospensione (almeno fino al
2022) del Patto di Stabilità e Crescita, il temporary framework per gli aiuti di stato, un fondo (SURE)
per il rifinanziamento dei programmi di sostegno all’occupazione, un fondo di garanzia per i crediti
erogati dalla Banca Europea per gli Investimenti.
La Banca Centrale Europea ha assecondato lo sforzo fiscale mediante un eccezionale ampliamento
dei programmi di acquisto di titoli, incluso il lancio di un programma temporaneo specifico (PEPP,
Pandemic Emergency Purchase Programme). Sono stati limitati i rischi di un repentino aumento del
costo del debito pubblico e sono migliorate le condizioni di sostenibilità del debito. Nel 2020, a fronte
di un debito pubblico lordo pari al 155,8% del PIL, il debito al netto della quota detenuta dalla UE e
dall’Eurosistema si è attestato al 111,2% del PIL. Nei prossimi anni, la quota parte di debito detenuta
dalle istituzioni europee è attesa aumentare ulteriormente, tanto che il cosiddetto debito netto scenderà
già nel 2025 al di sotto dei valori pre-Covid.
Ma la vera svolta in Europa si è avuta con il lancio di un nuovo piano per la ripresa, il Next Generation
EU del valore di 750 miliardi di euro, che finanzierà riforme e progetti coerenti con le priorità di
azione dell’Unione mediante trasferimenti o crediti agevolati.
Le linee guida stabilite dal programma rappresentano un esplicito intervento dei Governi europei nei
meccanismi del libero mercato, introducendo incentivi e sgravi fiscali per indirizzare le attività
produttive verso obiettivi ampiamente desiderabili dalla collettività (digitalizzazione e transizione
ecologica).
C’è da chiedersi se il libero mercato sarebbe stato in grado di avviare autonomamente questa doppia
trasformazione. Credo di no. In questa occasione, quindi una politica di indirizzo, sebbene europea,
è utile per rafforzare la competitività del Vecchio Continente e degli stati membri dell’Unione.
NGEU introduce elementi fortemente redistributivi tra gli stati membri e rafforza un piano di
emissione di debito comune.
Uno dei difetti più volte riconosciuti della costruzione europea è la mancata convergenza economica
tra gli Stati. Il programma è disegnato per far fronte alle necessità dei paesi più colpiti dalla pandemia
(Spagna e Italia) e per favorire la convergenza visto che da anni l’Italia rappresenta il fanalino di coda
nella graduatoria dei paesi per crescita economica.
Non è quindi un caso che l’Italia sia il potenziale maggior beneficiario, in valore assoluto, del
programma.
Per come è concepito, NGEU pone grandi responsabilità agli stati membri e quindi al nostro Paese.
Se l’Italia coglierà a pieno le opportunità offerte dal piano europeo, sarà un successo non solo per noi
tutti ma per l’Europa nel suo complesso. Dare prova che riusciamo ad attivare la facility messa a
disposizione dall’Europa, che attiviamo e realizziamo progetti nella transizione digitale e green e che
facciamo le riforme significa dare il segnale che l’Europa è unita.
Il successo dei programmi europei si misurerà anche nella capacità di creare le condizioni affinché i
sistemi produttivi possano tornare a “camminare con le proprie gambe”, possibilmente con un passo
più rapido. Quindi: se a una situazione di eccezionale gravità è giustamente corrisposto un sostegno
pubblico eccezionale, la “nuova normalità” dovrà prevedere un rientro nei ranghi del pubblico a
vantaggio del privato.