“Quando un infortunio diventa un’opportunità”
“DIRITTI DELLE DONNE LAVORATRICI,
RISCHI INFORTUNISTICI E TUTELA DEL LAVORO”
Fermo, 8 marzo 2022 – Lo scorso 3 marzo l’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori
Mutilati e Invalidi del Lavoro) ha presentato nella prestigiosa Sala Zuccari del Senato della
Repubblica uno studio realizzato in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2022.
Su iniziativa del Presidente della Commissione d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia Sen.
Gianclaudio Bressa e della Commissione ANMIL per le Pari opportunità, lo studio dal titolo
“Diritti delle donne lavoratrici, rischi infortunistici e tutela del lavoro” ha inteso analizzare la
condizione lavorativa e sociale delle donne dopo gli anni della pandemia da Covid-19.
La Sede ANMIL di Fermo è lieta di promuovere questo importante lavoro in occasione delle
celebrazioni della Giornata Internazionale della Donna che si svolgeranno a Fermo, nella Sala dei
Ritratti, c/o Palazzo dei Priori, Piazza del Popolo, martedì 8 marzo dalle ore 11:00, in presenza del
del Presidente ANMIL Marche e Territoriale Fermo Marcello Luciani, del Sindaco di Fermo Paolo
Calcinaro, del Prefetto di Fermo dott.ssa Vincenza Filippi, del Questore di Fermo dott.ssa Rosa
Romano, del Comandante Stazione Radio Mobile di Fermo Tenente Colonello Nicola Gismondi,
del Vice Sindaco di Montegiorgio dott.ssa Bacalini Maria Giordana ed altre personalità politiche e
militari del territorio.
A partire dalla dichiarazione di pandemia di Covid-19, il legislatore nazionale è intervenuto
attraverso un’imponente produzione normativa emergenziale a tutela della salute pubblica.
Numerosi provvedimenti normativi e regolatori, finalizzati a contrastare la diffusione del contagio
da Covid-19, hanno interessato gli ambienti di lavoro. In particolare, tra i primi provvedimenti
adottati, spiccano le regole precauzionali di contenimento del contagio nei luoghi di lavoro ad opera
dei Protocolli condivisi con le parti sociali, nonché le norme sulla sorveglianza sanitaria eccezionale
per i lavoratori fragili. In secondo luogo, il perdurare dell’emergenza pandemica ha orientato il
legislatore all’estensione dell’obbligo di green pass (ordinario e rafforzato) nei luoghi di lavoro,
nonché all’introduzione progressiva dell’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori.
Quest’anno, dunque, l’ANMIL ha voluto rendere omaggio alle donne che hanno continuato a
lavorare per contribuire a resistere in questa pandemia, dedicando loro questo studio che mette in
luce come il contesto socio-economico abbia reso travagliata anche la fisionomia del fenomeno
infortunistico. Secondo i dati elaborati dall’INAIL, con riferimento al consuntivo 2020-2021, nel
biennio sono stati denunciati complessivamente circa 191.000 infortuni da infezione da Covid
in ambito lavorativo; di questi ben 130.000, pari al 68,3% del totale, hanno colpito la
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componente femminile, contro il 31,7% di quella maschile. La situazione si capovolge nel caso di
infortuni mortali: 811 casi in complesso, di cui 669 hanno colpito gli uomini (82,5%) e 142 le
donne (17,5%).
SEZIONE TERRITORIALE ANMIL FERMO
“DIRITTI DELLE DONNE,
RISCHI INFORTUNISTICI E TUTELA DEL LAVORO”
Sala dei Ritratti – Palazzo dei Priori – Piazza del Popolo – Fermo
8 Marzo 2022 ore 11:00
A cura dell’Ufficio Servizi Istituzionali e Legali ANMIL
e dell’esperto statistico Franco D’Amico
A partire dalla dichiarazione di pandemia, il legislatore nazionale è intervenuto attraverso
una imponente produzione normativa emergenziale a tutela della salute pubblica. Numerosi
provvedimenti normativi e regolatori, finalizzati a contrastare la diffusione del contagio da Covid-
19, hanno interessato gli ambienti di lavoro. In particolare, tra i primi provvedimenti adottati,
spiccano le regole precauzionali di contenimento del contagio nei luoghi di lavoro ad opera dei
Protocolli condivisi con le parti sociali, nonché le norme sulla sorveglianza sanitaria
eccezionale per i lavoratori fragili. In secondo luogo, il perdurare dell’emergenza pandemica
ha orientato il legislatore all’estensione dell’obbligo di green pass (ordinario e rafforzato) nei
luoghi di lavoro, nonché all’introduzione progressiva dell’obbligo vaccinale per alcune
categorie di lavoratori.
Altro fronte d’intervento è rappresentato dall’impiego degli strumenti di flessibilità
organizzativa, dai congedi parentali al lavoro agile e da remoto. In particolare, l’ampio ricorso
allo smart working ha messo in luce l’esigenza di aggiornare la disciplina ordinaria in materia, nel
settore pubblico e privato, allo scopo di valorizzare il suo impiego in modo strutturale, oltre
l’emergenza.
Nel corso dell’emergenza pandemica, l’intervento emergenziale del legislatore è stato
fortemente incentrato sull’utilizzo degli strumenti di flessibilità organizzativa nei luoghi di
lavoro, allo scopo di contenere il contagio tra i lavoratori.
Recentemente, in forza del d.l. n. 221/2021, è stato prorogato l’uso del lavoro agile in
modalità “semplificata” fino al 31 marzo 2022. Lo stesso provvedimento aveva prorogato il diritto
al lavoro agile per i soggetti fragili fino al 28 febbraio 2022, anche mediante l’adibizione a diversa
mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento o lo svolgimento di
specifiche attività di formazione professionale. Successivamente, la legge di conversione (n.
11/2022) ha esteso tale diritto fino al 31 marzo 2022. Al riguardo, è da precisare che il D.I. 3
febbraio 2022 ha individuato le patologie croniche in possesso delle quali la prestazione lavorativa
deve essere normalmente svolta in modalità agile.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato l’utilizzo dei congedi parentali. In particolare, fino
al 31 marzo 2022 sono prorogate anche le disposizioni sui congedi parentali, indennizzati e non,
introdotte dal c.d. decreto Fiscale (d.l. 21 ottobre 2021 n. 146). Si tratta della possibilità, per i
genitori dei ragazzi under 14, di astenersi dal lavoro per la durata di sospensione dell’attività
didattica in presenza, oppure per la durata di infezione o quarantena del figlio. Tale beneficio è
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stato riconosciuto anche ai genitori di figli con disabilità in situazione di gravità, a prescindere
dall’età del figlio e anche nella ipotesi di chiusura dei centri diurni a carattere assistenziale.
Diversamente, nei medesimi casi, i genitori di figli tra i 14 e i 16 anni, hanno il diritto di astenersi al
lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, seppur tutelati dal licenziamento. È
importante evidenziare che sono stati previsti congedi ad hoc anche per i genitori lavoratori iscritti
in via esclusiva alla Gestione separata, nonché indennità ai genitori lavoratori autonomi iscritti
all’INPS.
Focalizzando l’attenzione sull’impiego del lavoro agile, questa modalità di svolgimento
della prestazione lavorativa ha rappresentato un fondamentale strumento di prevenzione dal
contagio nei luoghi di lavoro, pubblici e privati, anche se ha inevitabilmente complicato la vita
lavorativa in special modo delle donne mettendo a rischio la tutela del loro ruolo professionale
considerando le esigenze di gestire figli in quarantena, Dad e anziani senza aver previsto
alcuna misura che le preservasse dalle ripercussioni più gravi.
Con la risalita dei contagi nel periodo invernale, il 5 gennaio 2022 una Circolare congiunta
del Ministero del lavoro e del Ministero della Pubblica Amministrazione ha inteso sensibilizzare i
datori di lavoro, pubblici e privati, sull’utilizzo appieno del lavoro agile. In particolare, per il settore
privato, è stata ribadita la possibilità di impiegare la forma “semplificata” dello smart working e di
avvalersi della figura del ‘mobility manager’ per una pianificazione più razionale
dell’organizzazione del lavoro.
Il massiccio impiego del lavoro agile ha acuito l’esigenza di revisionare la disciplina
ordinaria in materia (l. n. 81/2017), soprattutto allo scopo di valorizzare l’utilizzo dello smart
working in modo strutturale, anche nel periodo post-pandemico. Al riguardo, nel settore pubblico
sono state emanate le ‘Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche’,
approvate in sede di Conferenza Unificata il 16 dicembre 2021. Parallelamente, in data 7 dicembre
2021 è stato approvato il ‘Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile’, che fornisce le linee di
indirizzo sull’uso dello smart working nel settore privato. Gli orientamenti integrano la disciplina
sul lavoro agile (l. n. 81/2017), allo scopo di fornire un quadro di riferimento per la contrattazione
collettiva impegnata a regolare l’uso del lavoro agile. Con specifico riferimento alla salute e
sicurezza dei lavoratori agili, è confermata l’applicazione della disciplina ordinaria (artt. 18, 22 e
23, l. n. 81/2017). È poi sottolineato che trovano applicazione anche gli obblighi di salute e
sicurezza sul lavoro del Testo Unico Sicurezza. Pertanto, il datore di lavoro deve garantire la salute
e la sicurezza del lavoratore in smart working, fornendo tempestivamente a tale lavoratore e al
RLS/RLST un’informativa scritta sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di
esecuzione del rapporto di lavoro. Tale informativa deve essere fornita con cadenza annuale e in
occasione delle modifiche delle modalità di svolgimento del lavoro agile rilevanti ai fini della salute
e sicurezza. È inoltre riproposto l’obbligo, in capo ai lavoratori, di cooperare all’attuazione delle
misure di prevenzione e protezione. In relazione all’ambiente di lavoro, la prestazione di lavoro in
modalità agile deve essere eseguita esclusivamente in ambienti idonei, ossia nel rispetto delle norme
in materia di salute e sicurezza e di riservatezza dei dati. A livello attuativo, le modalità applicative
del Testo Unico Sicurezza al lavoro agile saranno stabilite dalla contrattazione collettiva nazionale e
di secondo livello.
Infine, è ribadito il diritto del lavoratore agile alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali. In particolare, il datore di lavoro deve garantire la copertura assicurativa
INAIL anche per i rischi di infortuni in itinere e derivanti dall’uso dei videoterminali.
È pertanto evidente come il legislatore, nel corso degli ultimi due anni, si sia concentrato,
per forza di cose, sulle indispensabili misure di contenimento, trascurando però tutta una serie di
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altre questioni, rimaste da tempo in sospeso e che necessitano di attenzione e interventi mirati, con
specifico riferimento al mondo femminile.
Con il Covid-19 in Italia sono aumentate le disuguaglianze, e sono aumentati sia i
poveri perché privi di lavoro sia i poveri nonostante il lavoro. Oltretutto, il basso tasso di
occupazione delle donne, specie se hanno figli, sono poco qualificate e vivono nel Mezzogiorno, è
uno degli elementi della catena che produce povertà. Sarebbero quindi certamente necessari
interventi a sostegno dell’occupazione femminile, specie delle madri, sul versante sia delle
politiche attive del lavoro sia delle misure di conciliazione famiglia-lavoro, a partire dai servizi
educativi e di cura per la prima infanzia e la diffusione capillare del tempo pieno nella scuola
dell’obbligo. Misure che permetterebbero alle madri di stare nel mercato del lavoro e allo stesso
tempo funzionerebbero da strumenti di pari opportunità per i loro figli.
Ma come Associazione che tutela ed assiste anche le lavoratrici donne, infortunate e
non, e le vedove e/o le figlie rimaste orfane di quanti hanno perso la vita per il lavoro, ci
sembra doveroso accendere un faro su alcune criticità degne di essere portate all’attenzione
confidando nell’intervento risolutivo del legislatore.
Punto di partenza di tutte le nostre riflessioni è il riconoscimento che la donna svolge
sistematicamente due attività di pari dimensione e gravosità lavorativa prima ancora che
sociale, se per lavorativa intendiamo qualsiasi attività che produce ricchezza e valore aggiunto per
la comunità. Infatti accanto all’attività propriamente professionale che le donne svolgono
all’esterno, vi è quella di cura della “società familiare”, che è loro affidata in via spesso esclusiva in
virtù di una specifica “missione” riconosciuta anche a livello costituzionale.
La donna quindi, nel suo duplice ruolo di lavoratrice e responsabile della gestione
familiare, deve tenere insieme due veri e propri lavori, entrambi caratterizzati dalla
costrittività organizzativa e dalla responsabilità, di processo o prodotto, che fanno capo al
lavoratore.
In questa situazione occorre chiedersi se ed in quale misura la condizione di donna influisca
sulle cause e circostanze degli infortuni in azienda in modo diverso da quanto accade per gli
uomini.
Crediamo infatti che sia fondamentale tenere fortemente conto dell’interazione fra le due
dimensioni lavorative femminili, entrambe portatrici di fattori di stress e di affaticamento,
almeno per quanto riguarda il lavoro domestico anche fuori da ogni possibile controllo; siamo di
fronte, dunque, ad un logorio complessivo che mina salute e sicurezza della donna, quale che sia
poi il luogo ove il rischio possa nel contingente tradursi in evento lesivo, in malattia lavoro
correlata.
Ma un aspetto su cui l’ANMIL sta concentrando i propri sforzi e che vogliamo fortemente
portare all’attenzione di tutti è quello della tutela dei familiari di coloro quotidianamente perdono la
vita a causa del lavoro, sostenendo l’urgenza di interventi mirati in favore di questi familiari
superstiti delle vittime del lavoro: in particolare le vedove che si trovano all’improvviso da sole a
dover sostenere il carico familiare e mantenere figli che spesso sono ancora studenti. In loro favore
sarebbe dunque auspicabile un ampliamento della quota di riserva riconosciuta per legge (art.
18 comma 2 della L. 68/99), istituendone una dedicata ai superstiti delle vittime del lavoro
come anche ai coniugi e figli di grandi invalidi del lavoro, fissandola al 7% per i datori di
lavoro che occupano più di 150 dipendenti e in 3 lavoratori per coloro che occupano da 51 a
150 dipendenti.
L’attuale quota dell’1% risulta infatti del tutto insufficiente a garantire idonee opportunità di
occupazione a tali categorie che troppo spesso rimangono disoccupate, pure a fronte di situazioni
spesso delicate dal punto di vista economico e sociale. Al dolore della perdita di un proprio caro, si
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aggiungono infatti difficoltà materiali che solo un lavoro può mitigare. Prendere dunque in carico
queste famiglie è un atto di responsabilità che lo Stato dovrebbe compiere quale riconoscimento del
loro grande sacrificio.
Altra questione degna di nota riguarda il diritto al collocamento mirato con precedenza
rispetto ad ogni altra categoria e con preferenza a parità di titoli per le categorie equiparate
alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ossia gli orfani e superstiti delle
vittime del lavoro: per tali categorie, la direttiva 1/2019 della Presidenza del Consiglio dei
Ministri (che ha stilato le linee guida in materia di collocamento mirato obbligatorio nella
Pubblica Amministrazione) ha sottolineato tuttavia come non esista un criterio di priorità tra
queste categorie “privilegiate”, invitando le pubbliche amministrazioni ad effettuare le
assunzioni in maniera oggettiva ed imparziale, adottando a tal fine appositi bandi per la
copertura dei posti disponibili.
È evidente come una simile previsione non riesca a soddisfare in pieno il legittimo diritto dei
soggetti equiparati al collocamento mirato tramite chiamata nominativa all’interno delle pubbliche
amministrazioni, dove troppo spesso le vedove ma soprattutto gli orfani di vittime del lavoro si
trovano a non poter beneficiare del criterio di priorità che viene di fatto riconosciuto in primis alle
vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, in virtù della normativa di cui alla L.
407/1998.
Su questo sarebbe dunque auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore che
possa agevolare la categoria degli orfani e dei superstiti delle vittime del lavoro.
Queste misure potrebbero rappresentare un primo passo per dare il giusto risalto e
l’attenzione che merita la dimensione femminile del lavoro, nell’ottica per cui il principio
costituzionale di uguaglianza e non discriminazione di genere deve essere applicato nel senso
più profondo, secondo il quale la repubblica deve riconoscere un maggior sostegno a chi più
ne ha bisogno ed una maggiore tutela a chi, nella famiglia, svolge un ruolo di importanza
straordinaria ed insostituibile, pur mantenendo il diritto al lavoro, alla propria
emancipazione culturale e sociale, alla propria libertà di azione.
DONNA, LAVORO E INFORTUNI NEGLI ANNI DELLA PANDEMIA
Come abbiamo visto, gli anni 2020 e 2021 saranno ricordati tra i peggiori periodi della storia
della Repubblica italiana. La crisi prodotta dalla pandemia da Covid-19 e dai conseguenti
provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria, ha stravolto in profondità il
funzionamento dell’economia, del mercato del lavoro e della vita sociale e familiare di tutta la
popolazione, con impatti diversificati per settori, territori e genere, allargando diseguaglianze
storiche già preesistenti, a ulteriore svantaggio soprattutto della componente femminile.
GLI EFFETTI SOCIOECONOMICI
Già prima della pandemia da Covid-19 la situazione della “gestione organizzativa”
all’interno della famiglia italiana era tutt’altro che soddisfacente. Da sempre, infatti, la
conciliazione delle esigenze familiari e lavorative rappresenta un’area di forte criticità per la
donna che lavora, specie se sposata, con figli disabili a carico.
Secondo i dati del Rapporto ISTAT 2020, che fotografava la situazione 2019 (quindi ante
Covid), il 36% delle donne occupate con figli minori di 15 anni dichiarava gravi problemi di
conciliazione; quota che sale al 40% se il figlio più piccolo ha meno di sei anni. Notoriamente, il
peso dell’adattamento dell’attività lavorativa agli equilibri familiari ricade principalmente sulla
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componente femminile: il 38,3 % delle madri occupate è costretto a modificare il proprio orario di
lavoro, mentre i padri lo fanno in misura molto minore (11,9%). Il risultato più evidente di una tale
situazione è che il tasso di occupazione femminile si attestava nel 2019 intorno al 50%, in misura
nettamente inferiore sia rispetto agli uomini (68%), ma anche rispetto alla media delle donne dei
Paesi dell’Unione Europea. (63% circa).
In questo contesto, già di per sé poco edificante, la pandemia ha avuto un ulteriore forte
impatto sull’organizzazione familiare con riflessi pesanti sui carichi di cura, sugli equilibri di
convivenza, e con conseguenze particolarmente gravose per l’occupazione femminile soprattutto
nel 2020. Durante le fasi di lockdown, infatti, il 74% delle donne ha continuato a lavorare (rispetto
al 65% degli uomini) dovendo garantire servizi essenziali in settori di attività a forte vocazione
femminile come scuola, sanità e pubblica amministrazione. Inoltre, con la chiusura delle scuole,
quasi 3 milioni di lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni, hanno dovuto al tempo
stesso lavorare e assistere i figli impegnati nella didattica a distanza. Sotto la pressione di questi
impegni, sempre più donne hanno dovuto abbandonare il lavoro: nell’anno 2020 rispetto al 2019, si
era registrato un calo complessivo di 444mila occupati di cui ben 312mila donne, oltre il 70% del
totale
L’industria, dove il lavoro maschile è prevalente, aveva retto di più, mentre sono stati
soprattutto i servizi, tradizionale bacino di impiego femminile, a pagare il prezzo più caro: in
particolare, il sistema alberghiero e ristorativo, dove le donne rappresentano il 50,6%
dell’occupazione e i servizi di assistenza domestica (colf e badanti), dove il lavoro femminile arriva
quasi al 90%, hanno contribuito in maniera decisiva al saldo occupazionale negativo registrato in
questo periodo.
Fortunatamente, a seguito della massiccia campagna di vaccinazione che ha drasticamente
ridotto gli effetti della pandemia, dagli inizi del 2021 si è delineata e progressivamente rafforzata
una decisa ripresa delle attività produttive che ha portato ad un bilancio consuntivo annuo molto
positivo, sintetizzato da una crescita del PIL che, oltre le previsioni più ottimistiche, si è attestato a
+ 6,5%; un risultato molto importante anche se ancora non sufficiente a compensare il crollo
dell’8,9% registrato nell’anno precedente. In forte crescita anche la produzione industriale che, si
stima, nel 2022 dovrebbe raggiungere i livelli pre-Covid. Segnali positivi arrivano, inoltre, dai
redditi e dai consumi delle famiglie e, soprattutto, dal mercato del lavoro, con una ripresa
dell'occupazione e una riduzione della disoccupazione.
Gli ultimi dati diffusi dall’Istat, relativi al mese di dicembre 2021, hanno come tratto
distintivo un aumento dell’occupazione femminile: su base annua c’è stato un vero e proprio
balzo in avanti con ben 377mila (+4,1%) contratti in più rispetto a dicembre 2020; il tasso di
occupazione femminile si attesta al 50,5%, dato in assoluto non esaltante, ma il più elevato nella
storia del nostro Paese.
Se si guarda però alla tipologia dei contratti di lavoro si nota che a trainare la ripresa sono
ancora una volta i contratti a termine, soprattutto per donne e giovani.
GLI EFFETTI INFORTUNISTICI
In questo contesto, per molti versi così travagliato, anche la fisionomia del fenomeno
infortunistico non poteva non venire stravolta dalla “tempesta perfetta” scatenata dalla pandemia da
Covid-19 che si è abbattuta su tutte le componenti del mondo del lavoro. Ma a farne le maggiori
spese, anche in questo caso, sono state le donne.
Se da una parte il calo della produzione e delle ore lavorate ha comportando una netta
riduzione degli esposti al rischio di infortunio e, di conseguenza, un effetto “benefico” sul
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fenomeno infortunistico riducendone il numero, dall’altra parte questa stessa riduzione è stata in
gran parte compensata da una nuova tipologia di infortuni sul lavoro: quelli da infezione da Covid
in ambito lavorativo che sono stati equiparati agli infortuni strettamente lavorativi dal D.L. 18/2020
del 17 marzo 2020.
Dai dati elaborati dall’INAIL, con riferimento al consuntivo 2020-2021, si rileva che nel
biennio sono stati denunciati complessivamente circa 191.000 infortuni da infezione da Covid
in ambito lavorativo; di questi ben 130.000, pari al 68,3% del totale, hanno colpito la
componente femminile, contro il 31,7% di quella maschile. La situazione si capovolge nel caso di
infortuni mortali: 811 casi in complesso, di cui 669 hanno colpito gli uomini (82,5%) e 142 le
donne (17,5%).
Da segnalare che gli infortuni da infezione da Covid sono stati rilevati da INAIL al 31
dicembre di ciascun anno e pertanto sono da considerare del tutto provvisori e quindi suscettibili di
ulteriori incrementi, anche di un certo rilievo.
Tav. 1 – Infortuni da Covid in ambito lavorativo per genere.
Anni 2020-2021
GENERE Infortuni % Casi mortali %
MASCHI 60.606 31,7 669 82,5
FEMMINE 130.440 68,3 142 17,5
Totale 191.046 100,0 811 100,0
Fonte: elaborazione ANMIL su dati INAIL