Attualità a cura di Maurizio Donini

Leaving violence – Living safe contro la violenza sulle donne


Una stima approssimativa conta che migliaia delle donne che lasciano il proprio paese per sottrarsi
a una situazione di abuso e discriminazione, abbia subito qualche forma di violenza durante il
viaggio, a volte gli abusi e le violenze si ripetono o continuano anche in Italia. Un nuovo strumento
per supportare le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate che hanno subito violenza e che
ancora stentano a trovare un sostegno efficace per lasciarsi alle spalle le terribili esperienze
vissute è stato presentato in occasione della Giornata internazionale sui diritti umani, il 10
dicembre scorso, il progetto “Leaving violence. Living safe” (https://www.leavingviolence.it) è
stato realizzato da D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, in partnership con UNHCR, l’Agenzia
ONU per i rifugiati. Sul sito del progetto è disponibile la prima lista di mediatrici culturali formate
specificamente sul supporto a donne richiedenti asilo e rifugiate sopravvissute a violenza. Le
mediatrici potranno essere contattate tramite i centri antiviolenza D.i.Re di riferimento da enti e
organizzazioni del territorio, per un supporto che sia anche occasione per l’emersione della
violenza, ancora troppo spesso invisibile. Curdo, inglese pidgin, bangla, arabo, russo, spagnolo,
francese: sono alcune delle lingue per le quali sono disponibili mediatrici culturali formate sulla
violenza, per facilitare l’attivazione di percorsi di supporto.
Sono oggi 71 i centri antiviolenza della rete D.i.Re che hanno preso parte al progetto Leaving
violence. Living safe, accogliendo 301 donne, formando 179 operatrici e 50 mediatrici culturali,
attivando collaborazioni stabili con 42 di loro, adattando la metodologia dei centri antiviolenza e
costruendo relazioni con un gran numero di enti pubblici e organizzazioni nei diversi territori per
assicurare un supporto ai loro bisogni specifici. Le iniziative si concentrano in più direzioni, dal
supporto all’imprenditoria femminile, soprattutto nel sud Italia; all’introduzione di policy sulla
genitorialità; sviluppo di canali di comunicazione diretta con le forze dell’ordine per la
segnalazione di violenza di genere domestica e sui luoghi di lavoro. La lotta alla differenza di
genere passa anche per il gender pay gap, per cui un uomo e una donna fruiscono di una
retribuzione diversa a parità di competenze nello stesso ruolo occupato. In Italia la quota delle
occupate che lavorano in proprio nell’ambito delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata
specializzazione è pari al 22% del totale, e sale fino al 27% se si restringe l’insieme alle sole
laureate.
Questo è quanto emerso da un’indagine nell’ambito di WE – Women’s Equality Festival 2021, che
si prepara alla seconda edizione a giugno del 2022, condotta dalla società di consulenza Bip su un
panel di 100 aziende. La ricerca prende avvio dal confronto nato in seno all’Advisory Board di WE
– Women’s Equality Festival, manifestazione nazionale sulla parità di genere in Italia tenutasi a
Lecce nell’ottobre 2021. L’indagine, condotta tramite una survey digitale e delle interviste in
profondità, ha coinvolto oltre 100 imprese player di mercato su tre principali tematiche: Lavoro e
indipendenza economica della donna; Work-life balance delle persone care giver; Contrasto alla
violenza di genere. Oltre il 53% del campione ha avviato il proprio impegno solo negli ultimi 3 anni;
un percorso non facile, scontrandosi con la resistenza da parte del management (36%), lo scarso
coinvolgimento (27%), l’assenza di una strategia specifica (27%) e di una strategia definita (41%) la
ridotta visibilità e consapevolezza del fenomeno a tutti i livelli dell’organizzazione (36%). Il risultato
finale scaturito indica nella formazione, a detta del 50% degli intervistati, tra le attività a sostegno
del lavoro e dell’indipendenza economica delle donne e dal 43% per il contrasto alla violenza di

genere nelle organizzazioni. Accanto all’attività di formazione costante per la riuscita di un
percorso di inclusione all’interno dell’organizzazioni risultano fondamentali il sostegno del ceo e il
commitment da parte del top management (oltre il 70% del campione). Tra gli altri fattori critici di
successo, sono emersi lo sviluppo del networking sia interno che esterno e la comunicazione come
leva strategica quando volta a favorire l’engagement e l’adesione alle iniziative lanciate ed a
stimolare specifici comportamenti inclusivi.
MAURIZIO DONINI