“FIANO, UNA FAMIGLIA TRAVOLTA DALLA SHOAH “
di Giorgio Girelli
ROMA. “Fiano, fuori!”. Lo studente tredicenne di scuola media non comprende e
chiede: ”Per quale motivo, professoressa? Non ho fatto nulla!”. Risposta : “ Ho detto
fuori dall’aula!”. Lo studente:” Non capisco, non ho combinato niente”. E la
professoressa: ”Devi andare fuori. Deciditi”. A questo punto il giovane Nedo Fiano –
di lui si tratta – tra i più brillanti della classe raccolse le sue cose e piangendo si recò
a casa confidando di trovare la madre che lo avrebbe consolato e magari offerto una
spiegazione. Trovò invece la madre, Nella Castiglione, anch’ella piangente poichè
verduraio, macellaio e negozio alimentari si erano rifiutati di vendere i loro prodotti
perché i Fiano, ebrei, “dovevano andarsene”. Più tardi giunse il padre, Olderigo,
molto sofferente anch’egli perché cacciato dal lavoro. Conseguenze delle leggi
razziali del 1938. Suscita sgomento immaginare quale trauma può avere subito, oltre
ai genitori, soprattutto un ragazzo dinanzi a tanta mortificante umiliazione. E quale
incommensurabile sdegno prorompe dal comportamento della docente che non
poteva evitare la applicazione delle leggi razziali, ma era in sua facoltà non infangare
la sua professione infierendo sul giovane con modalità inutilmente malvagie.
Agghiacciante. Nedo poi nel febbraio del 1944, a diciott’anni, venne arrestato
appunto perché ebreo ed avviato, nel maggio successivo, con tutti gli altri dodici
familiari – sopravviverà lui solo – ad Auschwitz. Dove non ebbero inizio gli orrori, ma
la loro continuazione. Basta pensare al viaggio per il campo di sterminio. Nedo e tutti i
suoi familiari insieme a tanti altri ebrei (56 in tutto, sempre in piedi) vennero
caricati su un vagone usato per il trasporto di bestiame. Ai due lati della “carrozza”
le “SS” avevano collocato due bacinelle: una per le evacuazioni liquide, l’altra per le
solide, peraltro neppure vuote. Come si ridusse il pavimento coperto di liquame in
sette giorno di viaggio è orribilmente immaginabile. Al punto che i bimbi di pochi
mesi tra stenti e mancanza di latte morivano e le mamme erano costrette a
mantenerli in braccio perchè il pavimento era, diciamo così, impraticabile. Giunti a
destinazione gli uomini vennero separati dalle donne. Nelle sue conversazioni con gli
studenti Nedo Fiano racconta che la madre urlò:” Nedo, Nedo, abbracciami. Non ci
vedremo mai più”. Ed infatti la signora Nella fu subito avviata al “crematorio 2”.
Uno dei cinque in funzione. Qui l’ ”operazione“ avveniva in tre fasi. In un primo
ambiente aveva luogo la spoliazione. Tutti denudati. Nel passaggio ad un secondo
ambiente dove era attesa la doccia, come annunciato, aveva luogo invece la
gassificazione. Ai morti, se donne, venivano tagliati i capelli. Poi c’erano gli addetti
alla estrazione di denti d’oro. Infine un terzo gruppo procedeva ad ispezioni anali e
vaginali per verificare se fosse stato occultato qualcosa. Indi si passava alla
cremazione nei forni. La “resa” doveva essere di circa 13.000 vittime al giorno. Le
ceneri venivano raccolte ed utilizzate come concime agricolo. Gran parte di tutto ciò
Enzo Fiano, figlio di Nedo, lo racconta alla presentazione del suo libro “Charleston”,
storia di una grande famiglia travolta dalla shoah, alla libreria Spaziosette di Roma,
uno dei tanti incontri già promossi in varie città d’Italia. Nato a Firenze Enzo Fiano è
cresciuto a Milano. Trasferitosi per qualche tempo in Israele, si è laureato in lettere
classiche a Gerusalemme. E’ poi rientrato a Milano dove si è dedicato prima ai libri
poi alla musica, lavorando come dirigente e consulente per importanti case
discografiche. Ora è presidente del Conservatorio di Pavia. Ma perché
“Charleston”? Perché su una spiaggia della Versilia, al ritmo sincopato di un
charleston, una bambina, quasi una ragazza, ”inizia a muovere i suoi primi timidi
passi di danza: un’immagine di giovinezza liliale, ricolma di speranza”. È appunto
qui che comincia il racconto di Enzo Fiano. L’alba raggiante del secolo, i primi anni
prosperosi e felici cui però si contrappongono le successive due guerre mondiali
con le loro ferocie, con tante persone “aggredite nella loro dignità” come ricorda il
padre Nedo a proposito delle persecuzioni nazi-fasciste. Non una cronologia o solo
una macabra descrizione dell’accaduto ma un fraseggio originale dove
"Charleston" coglie l’invito di questo ballo, in un continuo inseguirsi di ricordi, che
hanno lasciato nelle persone cha hanno vissuto le durezze della storia “un segno
tragicamente indelebile”. Afferma Enzo Fiano: «La vita, la mia almeno, sembrerebbe
essere un insieme di variazioni, da inseguire, da smascherare, confuse in un
cespuglio intrigante pieno di nodi nascosti, in una trama che a volte non so più
districare, di suggestive apparenze di memorie». Un particolare esercizio della
memoria che è non solo un modo diverso di riavvicinarsi al passato – commenta il
preambolo del volume – ma forse l’unico per gettare uno sguardo sul futuro. Ed al
futuro ha prestato grande attenzione Nedo Fiano quando, prima di abbandonarci
due anni fa, nel corso dei numerosi incontri avuti con gli studenti sollecitava a
riflettere su “quello che avverrà”. Nel senso che non bisogna essere distratti, ma
“essere preparati, vigili, altrimenti il futuro diventa un’altra trappola”. Con possibili,
rinnovate indicibili sofferenze e tenendo conto che la stessa “preparazione” pur
accortamente praticata, ed è già tanto, non è tutto perché “il dolore non si conosce
se non si prova”, conclude Enzo Fiano.
Nelle Foto: Nedo Fiano, sopravvissuto ad Auschwitz.
Enzo Fiano, autore di Charleston