La cultura allo spiedo fra sagre e feste paesane
“Gli scout sono bambini vestiti da cretini, guidati da cretini vestiti da bambini”
(Jack Benny)
Ora se quanto ripetuto spesso e volentieri e rimbalzato in ogni angolo del web (a volte con
attribuzioni ad altri autori invero), cosa dire della moltitudine di feste variopinte e sagre paesane
che affollano lo stivale? Si va dalla sagra del mirtillo a quella dello struzzo, tipico animale indigeno,
dalla cipolla al pesce gatto, da ogni tipo di rievocazione che possa portare gente famelica con
l’improbabile resuscitazione di imperatori e nobili di ogni tipo, per non parlare di santi e madonne, il
che in un paese popolato da ladri e ballerine suscita qualche ironica perplessità.
Se vanno deserte mostre e concerti, basta accendere una graticola su cui friggere cipolla e
salsiccia, ovviamente uno spesso strato di unto non deve mancare, e la festa è fatta. Basta
proporre di mettersi addosso stracci che perfino un profugo maghrebino farebbe fatica ad
indossare per trovare numerosi adepti pronti ad essere “Re per un giorno”. Sulle orme di Pourko
cosa non si è disposti a fare per un attimo di notorietà? Il panorama è variegato è richiederebbe
pagine e pagine, alla voce sagre google restituisce 212.000 risultati, una sagra è come una donna
di conclamato pudore e moralità, si concede a chiunque.
Possiamo tirarci arance addosso nell’estremo nord che più oltre troviamo le Terre del Nord del
Trono di Spade, o ingozzarci di miracolosi beveroni che neanche gli imbonitori del west avevano.
E’ un paese di santi, navigatori, sagre e feste della masticazione, troviamo anche 92.200 risultati
che chiedono l’abolizione di “almeno” il 99% di tali manifestazioni, l’evasione fiscale e la
concorrenza sleale sono non solo tollerate, ma invogliate dai solerti amministratori comunali che
svestono il doppio petto da brani amministratori per vestire i panni dei gabellieri del duca conte di
fantozziana memoria. Patentino per la mescita degli alimenti? Viene rilasciato dal camerlengo in
questi casi, non dalla locale AUSL, il cappellino ferma capelli è sostituito da elmi costruiti durante i
lunghi inverni, la qualità del servito è pari al tasso di colesterolo tollerato da Terminator. I cibi tipici
come lo struzzo ed il pesce d’oceano, le cui acque bagnano notoriamente la penisola. Ma più che
la morte dello slow food si celebra il trapasso della cultura, intesa non come “sapere”, ma come
vivere sociale e progresso.
Quando ancora c’erano grandi pensatori, prima dell’avvento del secolo 2.0 o secolo della noia, si
teorizzava la fine delle feste paese, Marx ne decretava la sparizione sotto “le gelide acque del
calcolo egoista”, Weber le destinava a restare pietrificate nella “brina dell’ascesi puritana”. La
modernità anti-festiva e le scienze sociali preconizzavano la sparizione dei rituali e della cultura
popolare tradizionale, nella marci del progresso della società e della razionalità erano solo stantie
muffe. Un triste folklore per nostalgici in cerca di una improvvisa luce urbana mediatica che
dovevano sparire nella vetustà con le loro piagnucolose lamentazioni. Ma basta guardarsi attorno
per scoprire che sai che nascondono lingerie comprata da Victoria’s Secret e porchetta alla brace
di maiali di madre ignota hanno prevalso su qualsiasi accenno di progresso culturale.
In alto gli spiedi, passa il nobile corteo.
MAURIZIO DONINI