Infolampo: Jobs Act, Pensioni…..
Una pensionata su due «vive» con meno di mille euro lordi
Un’elaborazione dello Spi Cgil Veneto rivela la drammatica condizione delle donne anziane. E il 10 per cento dispone soltanto di un assegno da 500 euro al mese. Riconoscere il lavoro di cura e la contribuzione figurativa, questa la richiesta del sindacato
In Veneto una pensionata su due vive con una pensione lorda inferiore ai mille euro. A dirlo è un’elaborazione dello Spi Cgil regionale sugli ultimi dati Inps (aggiornati al 2014). Quasi 340 mila anziane (poco più della metà delle 666 mila pensionate presenti in regione) vive con meno di quella cifra, mentre il 10 per cento di loro (70 mila donne) deve accontentarsi di un assegno inferiore ai 500 euro mensili. Diverso è il discorso per gli uomini: sotto i mille euro è solo il 25 per cento dei pensionati (140 mila persone), e fra questi il 6,8 percepisce un assegno più basso di 500 euro. Stessa differenza c’è per le pensioni più alte, quelle sopra ai 2 mila euro lordi: arrivano al 26 per cento degli uomini e solo al 10 per cento delle donne.
“Per motivi familiari le donne sono costrette a interrompere la carriera lavorativa o a chiedere una riduzione d’orario” spiega la segretaria generale Spi Cgil Veneto Rita Turati: “Non è un caso che il part time sia molto più diffuso tra le donne. Questo accade perché le responsabilità familiari non sono condivise e i servizi non ci sono o sono troppo cari. Da questo, e dal gap salariale che ancora persiste, scaturisce un assegno pensionistico inferiore”. In più, continua Turati, la prospettiva di vita delle donne “è più lunga rispetto agli uomini, quindi molte pensionate vivono con l’assegno di reversibilità, che è spesso insufficiente a garantire un livello di vita dignitoso”.
I dati elaborati dallo Spi Cgil Veneto confermano quanto già conosciuto sui piani nazionale ed europeo. “La povertà, che è in aumento, riguarda soprattutto i giovani e gli anziani, e su entrambi i fronti vi sono più donne in stato di povertà” riprende Turati. Un dato ovviamente molto negativo, che va affrontato a più livelli. Da parte lo Spi Cgil propone “il riconoscimento del lavoro di cura, considerando che le donne sono state particolarmente penalizzate dalla legge Fornero che non ha tenuto conto del ruolo da loro svolto nel lavoro di cura, in particolare nei confronti delle persone anziane, che supplisce alle carenze del sistema del welfare”. È dunque necessario, conclude la segretaria generale dello Spi Cgil del Veneto, che Leggi tutto: http://www.rassegna.it/
Jobs act del lavoro autonomo, passo indietro rispetto a Carta universale dei diritti
“Stando a quanto risulta dai testi in circolazione, il disegno di legge sul lavoro autonomo e il ‘lavoro agile’ rischia di deludere le molte attese che lo avevano accompagnato”. Questo il primo giudizio espresso dalla Cgil nazionale sul provvedimento recante misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 28 gennaio.
“Si tratta indubbiamente di un avanzamento di tutele rispetto alla situazione attuale dei titolari di Partita Iva, in particolare riguardo ai tempi di pagamento e, in parte, alla deduzione dei costi per la formazione e alle previsioni relative alla tutela della malattia”, spiega la nota della Cgil. “Ma – continua – questi aspetti positivi sono accompagnati da norme confuse sul contrasto agli abusi, ad esempio non viene introdotto l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego dell’inizio dell’attività, né è chiara la disposizione circa la durata della committenza, né l’obbligo della forma scritta del contratto”.
La Cgil sottolinea come “in linea di principio la sfera di applicazione delle norme sembrerebbe riferirsi anche alle collaborazioni, destrutturando così le attuali tutele”. E per quanto riguarda la maternità “va affermato il principio della salvaguardia della salute della lavoratrice e del nascituro attraverso un periodo minimo di astensione obbligatoria antecedente e successivo al parto, rendendo invece flessibile il periodo complessivo di astensione attraverso il ricorso alla contrattazione collettiva, che è lo strumento più adeguato per conciliare la condizione della lavoratrice con il contesto produttivo e organizzativo”.
“In relazione alla malattia, sebbene la previsione di sospensione del pagamento degli oneri previdenziali risponda ad esigenze reali e sia da valutare positivamente, non si comprende la mancata estensione agli oneri fiscali. Nel rimarcare l’insufficienza dell’indennità contemplata, – prosegue la nota – si rivendica l’estensione della tutela prevista in caso di malattia oncologica a tutti gli eventi morbosi che determinano una impossibilità oggettiva e prolungata a svolgere l’attività lavorativa”.
“Le previsioni relative alle invenzioni dei lavoratori, o apporti originali, non modificano nella sostanza quanto già previsto dalla legge sul diritto d’autore e dal codice sulla proprietà industriale, lasciando di fatto irrisolta la questione degli utilizzi secondari o derivati, nel caso in cui l’attività inventiva sia oggetto del contratto”.
Si segnala inoltre “la non reale universalità delle disposizioni in relazione al lavoro autonomo, in quanto il riferimento determinato dalla sfera d’applicazione esclude totalmente gli agenti e i rappresentanti di commercio”.
Per la Cgil “sono poi completamente assenti misure per tutelare la parte più debole del lavoro autonomo: uno strumento di sostegno al reddito per i periodi di crisi, una previsione sui compensi minimi con riferimento ai costi contrattuali previsti dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro dei lavoratori subordinati corrispondenti, i diritti sindacali e alla rappresentanza, le norme antidiscriminatorie, l’accesso al welfare contrattuale”.
Nella nota si passa poi al commento sulle previsioni relative al ‘lavoro agile’: “per quanto cerchino di rispondere ad un fenomeno effettivamente presente ed in crescita, non si comprende perché siano collocate all’interno di disposizioni riguardanti il lavoro autonomo, né perché siano strutturate in modo da negare nella sostanza la funzione della contrattazione collettiva, che, come dimostrano svariati esempi recenti, è lo strumento principe e maggiormente in grado di cogliere le novità e regolamentarle senza destrutturare le tutele complessive ma adeguandole ai nuovi contesti”.
“In generale – prosegue il testo – risalta il limite generale di procedere per regolazioni frazionate per singoli spezzoni del mondo del lavoro (il cosiddetto Jobs Act per il lavoro subordinato privato, i prossimi decreti attuativi della ‘Riforma Madia’ per il lavoro pubblico, le disposizioni in commento sul lavoro autonomo). È invece necessario addivenire ad una definizione universale dei diritti in capo a chiunque svolga una prestazione lavorativa, come la Cgil ha proposto nella Carta universale dei diritti di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici”.
“La Cgil – si annuncia infine nella nota – chiederà di essere audita dalle Commissioni parlamentari e dai gruppi politici in Parlamento”.
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