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Infolampo: disoccupazione – partiti

ooh8o50kDisoccupazione potenziale al 18,5

Sono due milioni in più del dato ufficiale le persone senza lavoro o che lo stanno cercando: a dirlo una

ricerca elaborata dalla Fondazione Di Vittorio. Per il segretario confederale Cgil Scacchetti “è

indispensabile rimettere in moto gli investimenti”

In Italia la disoccupazione potenziale è di circa 2 milioni in più rispetto al dato ufficiale. È quanto emerge

dal rapporto di ricerca sul mercato del lavoro, elaborato dalla Fondazione di Vittorio, dal titolo “La

disoccupazione dopo la grande crisi”, aggiornato a giugno

2016. Per misurare lo stato di salute del lavoro in Italia, la

Fondazione ha elaborato una ulteriore stima della

disoccupazione, il tasso di disoccupazione potenziale,

utilizzando le rilevazioni della Bce e la percezione degli

intervistati della Rilevazione continua della forza lavoro

dell’Istat. Nella ricerca, infatti, vengono considerati non

solo i disoccupati formalmente riconosciuti, ma anche le

persone che all’interno delle forze di lavoro potenziali

aggiuntive (Flpa), riferiscono di sentirsi in cerca di

occupazione (condizione percepita). Il tasso di

disoccupazione schizza così al 18,5 per cento, ben 6,8 punti

sopra il tasso ufficiale, e il numero dei disoccupati sale a 5 milioni e 200 mila.

Lo studio fornisce, inoltre, un’analisi comparativa con le rilevazioni della Bce che stimano l’offerta di

lavoro reale. Attraverso due metodologie di calcolo diverse si registra in entrambi i casi una

disoccupazione italiana superiore al 20 per cento. Il tasso di disoccupazione allargata per i Paesi dell’area

euro è pari al 14,6 per cento (4,3 punti sopra il tasso ufficiale) e al 21,8 per l‟Italia (circa 10 punti sopra il

tasso ufficiale), mentre il tasso di sottoutilizzo della forza lavoro raggiunge il 17,6 per cento per la zona

euro e il 23,8 per il nostro Paese (più del doppio del tasso ufficiale di disoccupazione).

“Quale delle tre stime si voglia prendere a riferimento per misurare la disoccupazione effettiva in Italia

(23,8 per cento, 21,8 o 18,5), il valore è molto più alto rispetto al dato ufficiale – sottolinea il presidente

della Fondazione di Vittorio Fulvio Fammoni – e conferma quindi che nell‟inattività si cela una quota

importante di disoccupazione che le statistiche tradizionali non catturano”. Nel rapporto si spiega infatti

che il tasso di occupazione italiano, 8,3 punti sotto quello della zona euro, non è compatibile con un tasso

di disoccupazione ufficiale solo due punti più alto: dati spiegabili solo con la dimensione dell‟inattività.

“Affinché il mercato del lavoro italiano abbia un profilo coerente con quello riferito all’eurozona,

occorrerebbe – prosegue Fammoni – ridurre drasticamente il numero di disoccupati ufficiali e far emergere

una parte consistente della disoccupazione potenziale”.

Da questa rilevazione, secondo il segretario confederale della Cgil Tania Scacchetti, emerge “un quadro

di grave sofferenza del mercato del lavoro, distante dalle medie degli altri Paesi europei. Incomprensibili

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La mia sinistra unita e felice

Colloquio con Susanna Camusso di Marco

Damilano

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Il finanziamento pubblico ai partiti politici

Negli studi sul finanziamento alla politica si trova spesso menzionato un semplice esempio che aiuta a

comprendere l’importanza di una regolazione adeguata in materia. L’esempio è quello di una gara di

velocità tra due sfidanti, uno in bicicletta e l’altro in una macchina da corsa. E’ facile prevedere chi

vincerà la gara. Così in politica, possedere ingenti risorse economiche e poterne farne uso

illimitatamente crea o esaspera ulteriormente le disparità economiche tra soggetti politici e avrà

inevitabilmente ripercussioni sulle pari opportunità nella competizione elettorale e quindi, più in

generale, sulla natura della rappresentanza parlamentare e sulla qualità dei processi democratici.

di Daniela Piccio

La normativa sul finanziamento alla politica, e in particolare quella sul finanziamento pubblico ai partiti

politici, è stata introdotta in Italia, in Europa, e in molti paesi nel mondo sulla scorta di queste

motivazioni, al fine di limitare l‟influenza dei „poteri forti‟ sul processo politico, prevenire fenomeni di

corruzione ed evitare un‟eccessiva disparità nella competizione politica.

Eppure è impossibile non notare come questa disciplina, in Italia come altrove, non abbia raggiunto gli

obiettivi auspicati e prefissati. I problemi relativi alla corruzione, ad esempio, come dimostrano l‟Indice

di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International o recenti sondaggi

dell‟Eurobarometro, e le cronache recenti, sono rimasti irrisolti in tutto il continente europeo malgrado

l‟adozione di tale normativa. Se è necessario dunque regolamentare il mercato politico-elettorale, rimane

aperta una domanda fondamentale, e cioè come regolamentarlo in maniera adeguata?

In quanto segue presento una panoramica di insieme sul finanziamento pubblico ai partiti politici in

Europa, soffermandomi sui vantaggi e gli svantaggi del sistema del finanziamento pubblico, e alcune

considerazioni sulla necessità di una regolamentazione del finanziamento alla politica che possa superare

le attuali distorsioni.

Finanziamento pubblico dei partiti in Europa: uno sguardo di insieme. In Europa la modalità più antica di

sostegno statale ai soggetti politici è l‟erogazione di finanziamenti pubblici indiretti. Tra le forme di

sostegno indiretto figurano l‟accesso ai media (tempi di trasmissione in radio e televisione), esenzioni o

detrazioni fiscali (ad esempio per donazioni a favore di partiti politici) oltre all‟utilizzo di cartelloni

pubblicitari, di beni o di locali di proprietà pubblica per l‟organizzazione di riunioni nelle campagne

elettorali.

Per contro, l‟erogazione ai partiti di finanziamenti pubblici diretti è un fenomeno relativamente più

recente. La Germania è stata il primo paese ad introdurre, nel 1967, una legge in materia (a seguito della

sentenza del 1958 della Corte Costituzionale tedesca a favore del finanziamento pubblico dei partiti), la

quale specifica i criteri per l‟erogazione del finanziamento pubblico ai partiti (fissazione di limiti

relativamente al finanziamento privato, doveri di rendicontazione da parte degli attori politici e, infine,

norme sul monitoraggio e sul controllo della loro gestione economica). Tale legge, molto conosciuta dagli

studiosi e spesso chiamata in causa in tempi recenti in Italia dai fautori di una normativa sulla democrazia

interna ai partiti politici, regola anche con eccezionale livello di dettaglio la gestione dell‟organizzazione

interna della forma partito.

L‟esempio è stato nel tempo, seguito da tutte le democrazie dell‟Europa occidentale, ad eccezione di

Malta e Svizzera, e da tutte le nuove democrazie dell‟Europa orientale che hanno adottato un regime di

finanziamento pubblico nella maggior parte dei casi entro pochissimi anni dalla loro democratizzazione

A fronte di una grande convergenza a favore del finanziamento pubblico, differenze si riscontrano nelle

singole norme adottate. Le soglie di ammissibilità e i metodi di stanziamento dei fondi pubblici variano

notevolmente da uno Stato all‟altro. Ciò che i paesi europei hanno però in comune è l‟ingente quantità di

fondi pubblici stanziati per i soggetti politici.

Secondo gli orientamenti internazionali, gli Stati dovrebbero sostenere i partiti politici per mezzo di

contributi “limitati”, in modo da stabilire “un equilibrio ragionevole tra il finanziamento pubblico e quello

privato”[1]. Tuttavia, le sovvenzioni statali erogate agli attori politici in Europa sono diventate nel tempo

talmente alte da superare le entrate private. Ormai, infatti, i partiti europei sono fortemente dipendenti dai

finanziamenti pubblici, mentre i finanziamenti privati (quote associative, erogazioni liberali, trattenute

sugli stipendi dei funzionari eletti, fondi personali dei candidati), che tradizionalmente costituivano la

parte più significativa delle loro entrate, hanno progressivamente perso importanza come fonte di

finanziamento. In Italia, ad esempio, tra il 2007 e il 2011 si è stimata una dipendenza statale pari all‟85%

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