Infolampo: previdenza – ammutinamento
Cgil, Cisl e Uil: avanti con il confronto, ma servono
risposte concrete
Pensione di garanzia per i giovani, stop agli automatismi legati alla speranza di vita, rivalutazione degli
assegni, previdenza complementare: ecco la linea tracciata dall’Attivo nazionale unitario
Il confronto con il governo deve continuare, ma l’esecutivo dovrà dare riposte concrete e realizzabili già
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Ci lascia Filiberto Gargamelli. L’abbraccio dello Spi
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Il grande ammutinamento elettorale
Un’analisi delle recenti tornate elettorali in Italia, Francia e Regno Unito conferma il successo del voto
di protesta e rivela l’affermazione di una nuova forza “politica”: il fronte degli ammutinati
di Alfio Mastropaolo
I significati delle parole e dei gesti notoriamente cambiano. Nello spazio e nel tempo. Tra i gesti e le
parole e i gesti che stanno attualmente cambiando di significato c’è pure il voto. Che è già cambiato altre
volte. Una cosa era il suo significato iniziale, quando il suffragio era ristretto, e il voto era una
testimonianza di deferenza, o d’amicizia, di un pugno di elettori nei confronti di un notabile, un’altra cosa
è divenuto il voto al tempo del suffragio universale. È probabile che per una quota di nuovi elettori, che
non erano ben al corrente dei suoi effetti, il significato del voto fosse dapprincipio quello di un
adempimento burocratico: in Italia tra le elezioni del 1909 e quelle del 1913, le ultime a suffragio
ristretto, le prime a suffragio cosiddetto universale, la percentuale dei votanti scese dal 65 al 60 per cento.
Ma col tempo, grazie all’azione promozionale dei partiti di massa, il voto acquistò un nuovo significato.
Secondo Alessandro Pizzorno, divenne più rivendicazione di appartenenza che non atto di scelta. Gli
elettori confermavano la loro affiliazione a un partito inteso quale collettività di riferimento, ma
comunque votavano.
È probabile che a lungo andare il voto come scelta abbia preso un po’ di quota. In ragione del più elevato
livello d’istruzione e informazione degli elettori. Ciò malgrado, il voto di appartenenza persiste: il Veneto
bianco è sempre bianco, anche se la Lega manca delle salutari ipocrisie della Dc; l’Emilia è sempre rossa,
anche se un po’ impallidita. Il voto è come l’appartenenza calcistica. Non vi si rinuncia facilmente.
Perfino il collasso dei partiti storici in Italia non ha stravolto la sociologia elettorale. Con qualche fatica
l’elettorato si è riaccasato tra i nuovi contenitori che sentiva più prossimi.
I partiti lo sanno e ne approfittano. Si concedono da tempo mosse molto poco convenienti ai propri
elettori, contando sulla loro fedeltà e cercando di abbacinarli col marketing elettorale e gli effetti speciali
della leadership personale. Se non che, la fedeltà degli elettori ha pur sempre un limite. A osservare i loro
comportamenti, la loro insofferenza nei confronti dei partiti convenzionali e delle politiche da essi
adottate è in crescita da almeno un ventennio. Le differenze tra i partiti non sono irrilevanti. Prodi non era
Berlusconi. Blair non era la Thatcher. Sarkozy e Hollande non si equivalgono. Ma le politiche adottate
sono pur sempre modulazioni differenti di orientamenti analoghi. Visto che il voto ha perso ogni valore,
tanto di appartenenza, quanto di scelta, ecco che allora gli elettori protestano o si ammutinano. Protesta e
ammutinamento sono i nuovi significati del voto.
Una prima forma di protesta è arcinota e consiste nel rivolgersi alla nuova destra estrema, sotto l’etichetta
edulcorata di populismo. Che ha promosso la radicalizzazione antipolitica degli elettori insofferenti verso
lo Stato sociale, gli immigrati, il Mezzogiorno, l’Ue. Ma è riuscita ad attrarre pure elettori provenienti dal
versante opposto. Meno di quanto i media si compiacciano di raccontare. Ma c’è effettivamente una quota
di ex-elettori di sinistra che per disperazione si è riconvertita. Forse solo provvisoriamente.
Una seconda manifestazione di protesta è il voto per quelli che potremmo chiamare i partiti-Zelig. Grillo
ne ha inventato uno per primo, attirando un po’ di scontenti di sinistra, per poi rivolgersi, eccitato dal
successo, a quelli di destra, disorientati – provvisoriamente – dal collasso di Berlusconi. Ha perfino fatto
scuola. Anche quello fondato da Macron in Francia è un partito-Zelig, anche se più raffinato. È il
paradosso di un partito anti-establishment promosso addirittura dall’establishment e guidato da un
personaggio che, dopo esser stato assistente di un filosofo à la page, ha fatto il banchiere, l’alto
funzionario, il ministro: una sintesi perfetta dei quartieri alti, tecnocratico-imprenditoriali, d’oltralpe.
Una terza possibilità, non secondaria, che da qualche parte funziona, è il voto per i partiti della nuova
sinistra, anch’essi frettolosamente – e strumentalmente – etichettati come populisti: Syriza, Podemos, lo
Scottish National Party.
A riscuotere da ultimo più successo è tuttavia una quarta possibilità, ovvero l’ammutinamento costituito
dal non voto, o dalle schede bianche e nulle. Per molto tempo i partiti convenzionali l’hanno
sottovalutato. In realtà, la crescita esponenziale dell’astensione, prima riservata agli elettori meno istruiti,
le ha conferito un altro significato. È un grande ammutinamento, che colpisce per lo più i partiti di
sinistra.
Le due contese elettorali svoltesi in Francia negli ultimi tre mesi illustrano molto efficacemente il
malsano intreccio tra protesta e ammutinamento. Al primo turno delle presidenziali ha votato il 77 per
cento degli elettori: un quarto si è pronunciato per i candidati dei partiti tradizionali (socialisti e
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