Tutti in paranoia per App immuni e poi regaliamo i dati a FaceApp
Anche se l’App immuni non è per tutti, perchè l’applicativo per il contact tracing richiede alcuni requisiti di sistema per funzionare e non è
disponibile su tutti i cellulari, molti preferiscono di gran lunga scaricare FaceApp, l’applicativo russo del momento che, consente grazie al
filtro di modificare i tratti del volto del viso. Nella prima ondata di Coronavirus andava forte l’invecchiamento. Rispecchiava il lutto che si
stava vivendo. Ora con la fase 3 sta andando il cambio di genere, da maschio a femmina e viceversa, sulla scia del cambio interno da
mettere in atto nella nuova vita reale, dopo la chiusura tra le mura domestiche di mesi scorsi. Eppure sono tutti preoccupati per l’App
Immuni. Al fenomeno virale si lega la cessione dell’immagine e di dati sensibili per la privacy, di cui ignoriamo sostanzialmente la sorte,
cosa che non sussiste con Immuni che non prevede il tracciamento dei nostri dati ma solo di un codice criptato associato ad ogni telefono
e non alla persona. Eppure dovrebbe essere ormai chiaro che “pasti gratis sul web non esistono”. Magari non ce ne frega niente o forse si,
ma la questione di fondo rimane. In più FaceApp non fornisce informazioni specifiche su quali sorti toccano alle foto degli utenti, si limita
solo a rassicurare che le foto spariscono entro le 48 ore e non saranno condivise con parti terze e in Russia. Almeno adesso queste
rassicurazioni sono state messe nero su bianco nella policy relativa alla privacy. I governi potrebbero approfittarne per costruire sistemi
pervasivi di controllo sulle nostre libertà, ad App e piattaforme, invece di cedere un po’ di dati, di cui ci dimentichiamo quasi subito, in
cambio di un servizio utile e divertente che sia. Questi gruppi possono dunque controllarci nel modo di indirizzare i nostri gusti, le nostre
scelte d’acquisto, le nostre preferenze elettorali, il nostro immaginario, come dimostrano le ultime ricerche appena pubblicate
dall’Europian Data Journalism di Network che ha spiegato come l’algoritmo di Instagram favorisca immagini seminude, proponendolo
oltremodo nelle bakeke degli utenti e anche se non lo fanno quei dati commerciano in modi e su canali di cui noi non abbiamo controllo,
appena moderati dal Gdpr europeo entrato in vigore nel 2017. Ma poi ci preoccupiamo dell’App immuni, che ha lo scopo solo di prevenire
il ritorno di focolai e ritornare a tappezzarci in casa. Dunque un palese controsenso. Usiamo pure FaceApp se vogliamo, ma evitiamo poi di
improvvisarci giuristi esperti di riservatezza in altre, ben più importanti situazioni.
Paola Pieroni