Marco Filiberti e il suo film “Parsifal” al Teatro Pergolesi
Marco Filiberti, regista, sceneggiatore, drammaturgo, scrittore e attore, sarà a Jesi con la sua ultima opera cinematografica, “Parsifal”, che sarà proiettata al Teatro Pergolesi di Jesi giovedì 28 aprile alle ore 21, presente l’autore.
Film potente e unico, “Parsifal” è fra i 18 titoli scelti per la candidatura italiana agli Oscar 2022, ha vinto diversi festival nazionali e internazionali, fra cui il 39° Flickers’ Rhode Island Film Festival, l’Anticensura Film Festival 2021.
L’ecclettico artista sarà anche protagonista di un nuovo appuntamento di “Essere spettatore”, il ciclo di incontri curati da Pierfrancesco Giannangeli per imparare a leggere lo spettacolo dal vivo nel contemporaneo. L’incontro, giovedì 28 aprile alle ore 18 presso le Sale Pergolesiane, sarà ad ingresso gratuito, la proiezione delle ore 21 prevede un biglietto di ingresso di 5 euro (prenotazioni 0731 206888). In entrambe le occasioni, e grazie alla collaborazione con la libreria Gira & Volta, il pubblico potrà acquistare i volumi “IL FLUSSO GRAALICO” sulla drammaturgia musicale dell’opera cinematografica Parsifal di Marco Filiberti (Casa Editrice Zecchini) e “IL MIO PARSIFAL Inveramento di un Mito. Guida all’opera cinematografica di Marco Filiberti” (Casa Editrice Titivillus).
Parsifal (Italia, 2021) è il quarto lungometraggio di Marco Filiberti, prodotto da Dedalus con la partecipazione de Le Vie del Teatro in Terra di Siena. È interpreto da attori della Compagnia degli Eterni Stranieri: Matteo Munari (Parsifal), Diletta Masetti (Kundry), dallo stesso Filiberti (Amfortas – Felipe), e da Giovanni De Giorgi (Palamède), Luca Tanganelli (Cador), Elena Crucianelli (Senta) e Zoe Zolferino (Elsa). Il film è un importante e appassionato progetto di opera d’arte totale, un viaggio iniziatico che conduce dritto al centro del mistero delle nostre esistenze. Spiega Filiberti: “In un tempo oltre il tempo, nella terra desolata ha luogo il viaggio apocalittico del puro folle, l’uomo che, smarrita ogni certezza – perfino quella di una propria identità biografica o di una memoria storica –, può inconsapevolmente forgiare un nuovo modo di “essere nel mondo” nella fiduciosa rinuncia alla propria volontà, attraverso la compassione. Un’esperienza totale della pratica dell’essere, antagonista a quella del fare, dèmone dell’Occidente”.
Nel film, Palamède e Cador, due marinai, ingannano il tempo a bordo della loro imbarcazione, il Dedalus, in un imprecisato porto del Nord, un luogo senza tempo nel quale sono ben chiari i segni di un mondo oltre la rovina. L’arrivo di Parsifal, un giovane svagato e ingenuo di cui nessuno conosce nulla e che sembra non appartenere ad alcun luogo del mondo, costringe i due marinai a scendere a terra, dopo che il ragazzo ha sciolto il nodo che tiene ancorato il mercantile. I due marinai si imbattono in Elsa e Senta, due prostitute conosciute nella taverna-bordello del porto gestita da Kundry, una donna che, grazie al suo straordinario carisma, ammalia e seduce donne e uomini, tra cui il misterioso Felipe. È l’unica ad avvicinare Parsifal del quale lei solo sembra conoscere il passato. Parsifal, lasciato il porto, prosegue la sua peregrinazione fino ad arrivare in un luogo solenne e rovinoso dove un uomo, Amfortas, ferito all’inguine, è abitato da visioni apocalittiche e straziato dal dolore del mondo, del quale si sente responsabile, poiché a dominarlo è ancora una volta il lancinante e insopprimibile desiderio. Parsifal, turbato da quella visione, si dirige inconsapevolmente nel tempo e nel luogo dove quella ferita ha avuto origine, la taverna-bordello di Kundry… Ma cosa sarà il Graal nell’inveramento filibertiano del mito epico-cristiano? Proprio qui, forse, sta l’indubbia forza che fa di questo film un progetto unico.
Marco Filiberti, per quanto regista cinematografico e teatrale, attore, impresario, scrittore, drammaturgo e filologo per vocazione di inesausta ricerca, non è definibile in nessuno di questi ruoli né nella loro somma, così come la sua opera Parsifal non può ridursi nelle definizioni di film, opera teatrale filmata, opera musicale. Entrambi, Marco Filiberti e la sua opera, sono essi stessi una condizione dell’anima e anche una condizione fisica: controcorrente, anacronistici, antichi, attuali, provocatori, gentili in ogni accezione, alieni alla modernità, alla contemporaneità; Marco Filiberti ed il suo Parsifal sono un invito di impressionante impatto visivo, sonoro, psicologico e verbale, a fermare gli automatismi della quotidianità e alzare lo sguardo oltre.
Dalla campagna toscana, dove vive in un ritiro di stampo antico, interrotto solo dai lunghi periodi di lavoro coi suoi giovani attori ai quali chiede, con meticolosa pazienza, un inveramento dei personaggi che è prima di tutto rifiuto di qualunque prassi contemporanea, Marco Filiberti dedica un tempo anacronistico alla ricerca filosofica e filologica prima, poi alla stesura del testo, sempre finemente intessuto di riferimenti e citazioni letterarie di vertiginosa verticalità, quindi alla scelta e preparazione degli attori all’inattualità della loro funzione provocatoria di corpi poetici, e ancora alla costruzione di un’estetica visuale di estrema potenza, ma mai fine a sé stessa e da ultimo, ma non ultimo, alla musica, grande passione e somma competenza di Filiberti che trasforma ogni sua opera, ma in primis il Parsifal, in un affresco musicale di assoluta autonomia artistica, quasi una seconda opera nell’opera, di certo un pensiero profondamente e consapevolmente wagneriano che riscrive oggi l’approccio abituale alla colonna sonora cinematografica.
Sin dagli esordi della sua carriera l’intreccio di musica e teatro nel lavoro del milanese Filiberti è inscindibile, ma nel Parsifal la commistione di recitar cantando testi di prosa metrica e musica diventa essa stessa il primo strumento di straniamento per il pubblico: una simbiosi fortissima, classica, prima ancora che wagneriana, ed essa stessa messaggio in ritmo, armonia e melodia. In un tessuto sonoro naturale all’ascolto, ma inatteso nelle scelte di estratti da Wagner, Čajkovskij, Britten, R. Strauss, Dowland, Webern, Bartók con incursioni nel grande jazz della Golden Age, tutti sapientemente cuciti fra di loro dall’intervento creativo della drammaturgia musicale di Stefano Sasso, consolidato collaboratore di Filiberti e dalle composizioni originali del pianista e compositore pesarese Paolo Marzocchi, sempre sotto lo stretto controllo di Marco Filiberti, la nuova opera musicale Parsifal segna un capitolo importante nella comunicazione non verbale per eccellenza, la musica.
L’accesso sarà consentito con “Green Pass Rafforzato” e mascherina FFP2.