Da Infolampo: Pensioni – Canoni
Una «garanzia» per le pensioni dei giovani
Si profila un destino da poveri, con le regole attuali, per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Ma in
campo c’è una nuova proposta: ne abbiamo parlato con l’ideatore, l’economista Michele Raitano, e con
il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli
“La pensione? E chi ce l’avrà mai?”. Un ritornello che sentiamo sempre più spesso tra i giovani (e anche i
meno giovani, per la verità). Purtroppo, tutto fuorché una battuta. Dal 1995 il sistema previdenziale
italiano è cambiato radicalmente. Gli assegni di chi ha cominciato a lavorare dal ’96 in poi, come noto,
verranno calcolati solo con il metodo contributivo. Ma ciò
significa che ogni svantaggio (periodi di non lavoro, salari
bassi, part-time involontario, forme lavorative caratterizzate da
bassa aliquota) equivale a meno contributi e, di conseguenza,
pensioni più basse in futuro. Da qui nasce la proposta della
“pensione contributiva di garanzia”, uno strumento
previdenziale in grado di garantire, appunto, assegni
compatibili con una vita dignitosa. Ne abbiamo parlato con
l’ideatore Michele Raitano, docente di Politica economica alla
Sapienza di Roma, e con Roberto Ghiselli, segretario
confederale della Cgil, nel forum organizzato dalla redazione
di Rassegna Sindacale alla vigilia della ripresa del confronto
tra governo e sindacati, la cosiddetta “fase due”, prevista per il
4 maggio.
Rassegna Qual è la logica del sistema contributivo? Come si
può correggere con la pensione contributiva di garanzia?
Raitano Al di là dei pregi e dei motivi sicuramente apprezzabili per cui fu pensato, basati sulla flessibilità
della spesa pubblica, è un sistema che incentiva a pagare i contributi. Se la mia pensione dipende da
quanto verso e dall’età in cui ci vado, è evidente che contribuire è fruttuoso, a differenza del vecchio
sistema che aveva forme d’incentivi perversi. Questo sicuramente va considerato come un pregio. Il
difetto sta invece nel fatto che la logica viene interpretata da alcuni come una forma di equità, nel senso
che ognuno alla fine si riprende esattamente quello che ha versato. Così facendo, però, si ignorano le
differenze innescate dal mercato del lavoro. Le basse contribuzioni in Italia dipendono dai
malfunzionamenti nati dal ’96 a oggi – e molto presumibilmente lo stesso accadrà negli anni futuri – per
cui assumere che il sistema pensionistico si debba basare solo su quanto una persona ha versato è
probabilmente ingiusto dal punto di vista sociale.
Rassegna Siamo sempre all’interno dello schema contributivo? Possiamo fare qualche cifra?
Raitano Non prevediamo di tornare al vecchio retributivo, né a una pensione di cittadinanza o a misure
del genere. L’idea è che la pensione non potrà mai scendere sotto una determinata soglia e in tal caso deve
intervenire lo Stato con un’integrazione, una garanzia, appunto. Un esempio? Se si è stati attivi per 42
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Cgil Cisl Uil e Anci Marche :
intesa sugli appalti
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A rischio la diffusione dei canoni concordati
Dal prossimo anno l’aliquota della cedolare sui canoni concordati tornerà al 15%. Riducendosi il livello
dell’incentivo fiscale, è molto probabile che di restringa anche l’offerta degli alloggi che li applicano
di Raffaele Lungarella
Dal 2011 i proprietari delle abitazioni date in affitto possono scegliere se tassare i canoni percepiti con
l’Irpef, le cui aliquote sono crescenti per scaglioni di reddito, oppure con la cedolare secca, che ha due
sole aliquote, una per i canoni di mercato e una per quelli i cui livelli sono concordati tra le associazioni
dei proprietari e quelli degli inquilini. I dati ricavati dalle dichiarazioni dei redditi del 2016 (anno
d’imposta 2015), pubblicati dal ministero dell’economia, evidenziano la consistente diffusione
dell’applicazione della cedolare secca ai canoni concordati. Una loro forte crescita si era registrata già con
le dichiarazioni del 2015, favorita dalla riduzione dell’aliquota d’imposta al 10%. Dal prossimo anno
l’aliquota tornerà al 15%. Ma occorre valutarne bene gli effetti e chiedersi se sia equo.
La diffusione dei canoni concordati
Nell’anno d’imposta 2015, i contribuenti che hanno optato per la cedolare sono 1.744mila (il numero
delle abitazioni interessate potrebbe essere inferiore: ognuna può avere più proprietari); sono cresciuti di
quasi 320mila sull’anno precedente e più di 3 volte e mezzo rispetto al 2011 (anno d’introduzione della
cedolare). L’ammontare dei canoni a essa assoggettati ha superato gli 11 miliardi di euro, un quinto in più
dell’anno precedente (tabella 1).
I contratti a canone di mercato (tassati con l’aliquota del 21% fin dall’inizio) continuano a essere molto
più numerosi di quelli a canone concordato e nel 2015 i primi sono aumentati di circa 200mila contro
poco meno di 150mila dei secondi. Per i proprietari delle abitazioni continua a essere più conveniente
affittare a canoni di mercato che non a canoni concordati, nonostante il vantaggio fiscale di questi ultimi
sia diventato di 11 punti percentuali.
Ma con la riduzione al 10% della cedolare secca a essi applicati, i canoni concordati sono diventati più
convenienti per i proprietari; gli effetti si sono manifestati nella riduzione del rapporto tra il numero di
contribuenti che hanno affitto a canone libero e quelli disponibili ad affittare a canone concordato (grafico
1). Nel 2015 hanno accettato di affittare con quest’ultima tipologia di canone circa 450mila contribuenti.
Emersione del nero e migrazione da Irpef
Nel 2015 il gettito complessivo della cedolare è stato di poco superiore a 2,07 miliardi di euro. È poco
verosimile che esso derivi interamente dall’emersione di affitti in nero. Al 31/12/2010, le abitazioni
affittate di proprietà di persone fisiche note al fisco erano 2,72 milioni. Nel 2015 l’Istat ha stimato in 3,66
milioni le famiglie che hanno preso in affitto una casa da una persona fisica (condizione per
l’applicazione della cedolare). Ammettendo che i contratti d’affitto di tutte queste famiglie siano stati
registrati, si potrebbe ritenere che tra il 2011 e il 2015 l’emersione dal nero ha riguardato circa 940mila
abitazioni. È un’ipotesi in cerca di verifica, ma prendiamola per buona. Tuttavia, è poco plausibile
attribuire tutta l’emersione all’introduzione della cedolare; non fosse altro perché a fronte della crescita
continua del numero dei contribuenti che l’ha applicata, si sono registrate oscillazioni, anche notevoli, da
un anno all’altro del numero delle famiglie in affitto. In ogni caso, se anche il loro aumento interamente
attribuibile alla diffusione della cedolare secca, esso costituirebbe poco più della metà del numero
complessivo dei contribuenti che con la dichiarazione dei redditi per l’anno fiscale 2015 ha optato per la
cedolare. La restante parte sarebbe, pertanto, costituita da migrazioni dall’Irpef.
Gli effetti sul gettito
La composizione tra emersione e migrazione dall’Irpef è fondamentale per valutare gli effetti della
cedolare sul bilancio statale. Al riguardo, calcoli di dettaglio può farli solo il Ministero dell’economia e
finanze. Nell’attesa, si può tentare una loro stima con i dati disponibili. Ipotizziamo che l’emersione delle
940mila abitazioni, di cui si è detto, sia composto da tutte quelle affittate a canone concordato e da una
parte di quelle affittate a canone di mercato; si assume che la distribuzione per classi di reddito dei
proprietari di questa seconda componente dell’emersione sia la stessa di quella del numero totale dei
contribuenti che hanno affittato a canone di mercato. Sotto queste ipotesi la migrazione dall’Irpef
interessa circa 800mila contribuenti che hanno affittato a canoni di mercato, con una perdita di gettito, nel
2015, di circa 1 miliardi di euro; essa diventa di circa 850 milioni di euro, se l’emersione fosse
interamente attribuibile ai canoni di mercato tassati con cedolare al 21%.
L’elevazione dell’aliquota
Si tratta in ogni caso di cifre rilevanti. La perdita di gettito sui canoni di mercato, dovuta alla migrazione
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