Infolampo: Lavoro – banche
Il sindacato internazionale vuole un lavoro di qualità
Nella riunione dei ministri del Lavoro degli Stati del G20, i rappresentanti del gruppo L2 consegnano un
documento con le priorità: ridurre le diseguaglianze, più diritti negli appalti, rivoluzione tecnologica con
equità, integrazione per i migranti
di Fausto Durante
Per il gruppo di Paesi che compongono il G20 – la cui presidenza per il 2017 spetta alla Germania – questa
è la settimana del lavoro. Si riuniscono oggi e domani a Bad Neuenahr, nei pressi di Colonia, i ministri
del Lavoro degli Stati del G20, con all’ordine del giorno le principali questioni dell’economia e del lavoro
su scala globale. Lo scenario in cui si colloca questa riunione, a
giudizio del sindacato internazionale, non è certamente
favorevole: le politiche di ispirazione liberista, che in Europa si
sono concretizzate nella ferrea austerità imposta dalla
Commissione europea, producono una crescita di entità
modestissima, l’aumento di disoccupazione e disuguaglianze in
tutto il mondo, il diffondersi di sfiducia nella politica e nelle
istituzioni, sempre più identificate come élites lontane dai
cittadini e sensibili solo alle richieste della finanza e delle
multinazionali.
Per proporre un’agenda alternativa a quella dei governi sui temi
del lavoro, nei due giorni scorsi a Berlino i leader dei sindacati
dei principali paesi (insieme a una folta delegazione di
sindacalisti provenienti da Stati asiatici e africani in ritardo di
sviluppo, a testimonianza della necessità di operare con spirito
di solidarietà internazionale sui temi globali) si sono confrontati
nel forum di dialogo Labour20. I temi su cui abbiamo lavorato nella riunione di L20, riassunti in un
documento inviato ai ministri del Lavoro e in una dichiarazione consegnata nelle mani della cancelliera
tedesca Angela Merkel, che ha partecipato personalmente a una sessione del vertice sindacale, si possono
riassumere in quattro grandi aree.
1. Ridurre le disuguaglianze e creare lavoro di qualità. Un modello di politica economica alternativo e più
socialmente giusto rispetto a quello attuale è possibile e, soprattutto, non più rinviabile. Questo modello
dovrebbe prevedere l’avvio di un processo coordinato di investimenti pubblici in infrastrutture, servizi
statali, welfare ed economia sociale, per uscire dalla trappola della crescita zero. Va dato, cioè, uno
stimolo potente alla ripresa economica, assicurando al contempo che esso sia orientato a sostenere gli assi
strategici della transizione verso un’economia low carbon, della cooperazione internazionale per un’equa
riforma dei sistemi di tassazione, della gestione delle risorse pubbliche per spingere la domanda e il
potere d’acquisto dei redditi medi e bassi. In questo contesto, il lavoro deve riconquistare diritti e
centralità. Quindi diventa decisiva la leva della contrattazione collettiva e delle politiche salariali, come
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Cgil e Spi del Lazio: un
vademecum per la popolazione
colpita dal terremoto
– Scarica il vademecum
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Le banche ombra gestiscono metà della finanza mondiale
Alla fine del 2015, ben 149mila miliardi di dollari – pari a circa il 46 per cento delle attività finanziarie
globali – erano gestiti da banche ombra. Lo sostiene un rapporto pubblicato il 10 maggio dal Financial
stability board (Fsb), un organismo internazionale legato ai paesi del G20 che sorveglia il sistema
finanziario mondiale e che dal 2011 pubblica ogni anno uno studio sulla finanza ombra, con l’obiettivo
di individuare i rischi che potrebbero far scoppiare una nuova crisi.
di Alessandro Lubello, giornalista di Internazionale
Questo dato, che riguarda 21 paesi più l’eurozona (per un pil complessivo pari all’80 per cento di quello
mondiale), sembra suggerire che quasi la metà della finanza mondiale è nelle mani di aziende opache
giustamente definite ombra. Le cose non stanno proprio così, ma senza dubbio il settore contiene dei
fattori di rischio per la finanza. Nell’edizione 2016 del suo rapporto, l’Fsb si proponeva di studiare
proprio le zone più delicate del settore ombra, ma non ha ricevuto tutti i dati su cui faceva affidamento.
Per capire meglio la situazione bisogna fare chiarezza sul concetto di “banche ombra”. Nell’introduzione
del suo rapporto, l’Fsb parla di “entità e attività di intermediazione creditizia che agiscono fuori dal
sistema bancario regolamentato”. E poi aggiunge che l’uso del termine ombra “non va inteso in senso
peggiorativo” e che è stato adottato perché “è quello più comune”. Ora, nella definizione più ampia di
banche ombra, riassunta dall’acronimo Munfi (Monitoring universe of non-bank financial
intermediation), e quindi in quei 149mila miliardi di dollari, sono incluse le compagnie assicurative, i
fondi pensione e le stesse banche centrali, che comprano stabilmente titoli di stato. Attività quindi che
sono comunque regolamentate.
Per questo l’Fsb adotta una seconda definizione e un secondo acronimo: Ofi (Other financial
intermediaries), in cui sono incluse “tutte le istituzioni finanziarie che non siano banche, assicurazioni,
fondi pensione, istituzione finanziarie pubbliche, banche centrali o ausiliari finanziari”. In questo caso la
mole di attività finanziarie scende a 92mila miliardi di dollari, che comunque rappresentano circa il 120
per cento del pil di tutti i paesi del mondo messi insieme. Gli Ofi sono cresciuti di tremila miliardi di
dollari rispetto al 2014, spiega l’Fsb, in gran parte perché le borse sono cresciute e in parte perché molti
capitali hanno lasciato il settore bancario tradizionale.
Questi istituti usano strumenti pericolosi per la stabilità finanziaria
Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra e presidente di turno dell’Fsb, sostiene che la crescita
della banche ombra di per sé non deve far paura, perché questi istituti permettono di diversificare le fonti
di finanziamento a favore dell’economia reale. Ma resta comunque il fatto che sono collegati al sistema
bancario tradizionale e che usano strumenti pericolosi per la stabilità finanziaria. Per questo l’Fsb ha
deciso di restringere ulteriormente i confini della sua analisi limitando la valutazione delle banche ombre
alla cosiddetta “narrow measure of shadow banking”, formata da entità finanziarie non bancarie che
“secondo le autorità” possono rappresentare un rischio per la stabilità finanziaria.
I dati su questa fetta del settore ombra provengono da 27 paesi, tra cui l’Italia. La narrow measure
gestisce attività per 34mila miliardi di dollari, il 3,2 per cento in più rispetto al 2014. “Quasi l’80 per
cento di questi miliardi sono concentrati in soli sei paesi”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per
esempio gli istituti ombra delle Isole Cayman, che entrano nello studio dell’Fsb per la prima volta,
gestiscono seimila miliardi di dollari (e hanno un sistema finanziario pari al 200mila per cento del pil
nazionale), molto di più di paesi come il Giappone e il Canada, che si fermano a quattromila. In Irlanda e
nei Paesi Bassi ormai le banche ombra gestiscono più soldi di quelle tradizionali.
Gli esperti dell’Fsb, però, si aspettavano indicazioni molto più interessanti dallo studio, soprattutto perché
non hanno ricevuto tutti i dati che volevano avere. Un importante centro finanziario come il
Lussemburgo, per esempio, non ha inviato i suoi dati. Ma già nell’introduzione del rapporto, l’Fsb mette
in chiaro che “la narrow measure non include i dati della Cina, perché sono stati inviati in ritardo”. Chi
sperava di ricavare un qualche segnale di crisi da questo studio contava soprattutto sulla Cina, il cui
settore Ofi valeva circa 7.300 miliardi di dollari alla fine del 2015. Nel paese asiatico, scrive le Monde,
“le banche ombra hanno un ritmo di crescita – il 31 per cento tra il 2014 e il 2015 – secondo solo a quello
registrato in Argentina”, ma soprattutto va notato che in Cina spesso questo settore parallelo “finanzia i
pesanti debiti delle imprese di stato e i precari progetti immobiliari dei governi locali”.
Ora l’Fsb spera nello studio che sarà pubblicato il prossimo anno, ma evidentemente, fa notare la Neue
Zürcher Zeitung, “la natura stessa delle banche ombra fa sì che sfuggano alle autorità. Dati completi e
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finanza-mondiale